Per noi italiani, più che per altri, il momento della successione si caratterizza per una patina non troppo velata di superstizione e scaramanzia, che spinge i più a non occuparsi affatto della questione, o ad occuparsene nell’ultimo momento utile se non, addirittura, quando ormai è troppo tardi. Bisogna dire che il nostro Codice Civile, sul tema, agevola molto questi comportamenti, provvedendo in modo molto compiuto e puntuale a disciplinare la vicenda successoria, da un punto di vista tanto qualitativo (chi eredita ed in quale ordine) sia quantitativo (quanto eredità e perché). Da ciò consegue inevitabilmente che, nonostante l’esplicita dichiarazione dell’art. 457 C.C., il quale al secondo comma specifica che “Non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria”, per cui la successione legittima avrebbe carattere residuale rispetto a quella testamentaria, la realtà ci delinea un quadro totalmente opposto relegando il testamento, strumento principe della devoluzione successoria, a mero elemento residuale della fattispecie. Il che è un peccato, dal momento che è estremamente importante nonché vantaggioso, per il de cuius, ricorrere alla redazione di un testamento. Perché? Innanzitutto, perché sia libero di indirizzare i beni facenti parte del suo patrimonio, frutto del lavoro di una vita, secondo quelle che sono le sue reali volontà; in secondo luogo, per evitare che i familiari superstiti si trovino ad affrontare liti, a non rivolgersi più parola, ad ostacolare la circolazione futura dei beni devoluti. Non solo, redigere testamento significa anche valorizzare il merito di alcuni eredi rispetto ad altri, nonché assicurare ordine e continuità al patrimonio, “banalmente” per mezzo di una suddivisione che preservi e garantisca l’unità ed unicità di ogni singolo bene, evitando così il fenomeno della frammentazione del patrimonio – che invece è tipica conseguenza della successione legittima, che assegna quote di ogni singolo bene ad eredi diversi, creando problemi nella circolazione futura di tali beni, in alcuni casi paralizzandola del tutto.
Perché ho detto “banalmente”? Perché se ci pensiamo, il vantaggio ed il valore aggiunto derivanti dall’utilizzo del testamento in fase di devoluzione successoria sono estremamente intuitivi; inoltre, salvo i casi di patrimoni qualitativamente e quantitativamente molto complessi, il testamento è uno strumento che richiede poco tempo per la sua redazione, se si opta per la forma olografa, cui ciascuno provvede da sé, è addirittura gratuito, oltre ad essere modificabile in qualsiasi momento e per quante volte si renda necessario. Quindi, perché non ricorrervi? Sembra del tutto insensato, visto il contributo fondamentale che comporta ed il poco dispendio di risorse che implica.
Trattasi di poche righe, cui ancora non diamo la dovuta importanza.
Faccio un passo ancora oltre il testamento di cui ho parlato finora e di cui noi tutti siamo abituati a sentir parlare, perché in questa sede vorrei parlarvi anche di altre due tipologie di testamento, in mia opinione altrettanto fondamentali: il testamento biologico ed il testamento digitale.
La legge sul testamento biologico è in vigore dal 31 gennaio 2018 (legge 2 dicembre 2017, n. 219 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2018). Tale legge ribadisce il principio per cui nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge, in linea con i principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, a tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona. Il cuore della legge è l’introduzione della disciplina delle cosiddette DAT, le Disposizioni Anticipate di Trattamento, con le quali le persone possono appunto dare indicazioni sui trattamenti sanitari da ricevere o da rifiutare nell’ipotesi in cui si trovassero in condizioni di incapacità. In particolare, ogni individuo è libero di disporre in merito ad accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche nonché singoli trattamenti sanitari. In questo senso, ad esempio, si è legittimata la libera scelta relativa alla ricezione della nutrizione e dell’idratazione artificiale, che possono dunque essere rifiutate, essendo considerate modalità di somministrazione di nutrienti e pertanto, a tutti gli effetti, trattamenti sanitari. Chi può redigere le DAT? Qualunque persona, alle sole condizioni che sia maggiorenne e capace di intendere e di volere. Le Disposizioni Anticipate di Trattamento possono essere redatte mediante atto pubblico notarile, scrittura privata autenticata, scrittura privata semplice consegnata personalmente all’Ufficio dello Stato Civile del Comune di residenza del disponente. Ricordiamoci che tale atto non sconta nessun tipo di imposta (di registro, di bollo) né tassa o diritto. Le DAT possono essere modificate in qualsiasi momento, utilizzando la stessa forma con cui sono state rilasciate o, quando motivi di urgenza o altra impossibilità non consentano di rispettare la stessa forma simmetrica, mediante dichiarazione verbale o videoregistrazione raccolta da un medico alla presenza di due testimoni. Inoltre, la legge prevede la possibilità di nominare un fiduciario che sostituisca il disponente divenuto incapace nei rapporti con i medici e la struttura sanitaria, eventualmente consentendo di disattenderle, di concerto con il medico, solo nel caso in cui appaiano palesemente incongrue, o non siano corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente, oppure siano sopravvenute terapie non prevedibili alla data di redazione delle DAT.
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Per concludere, un piccolo cenno a quello che è il testamento relativo all’eredità digitale, di cui si sente parlare ancora troppo poco e che, tuttavia, è oggi uno strumento imprescindibile, trovandoci totalmente immersi nell’era dei social. Innanzitutto, a cosa ci riferiamo quando parliamo di eredità digitale? Con “eredità digitale” si fa riferimento principalmente ai dati digitali che una persona lascia online e negli hard disk dopo la sua morte, solitamente protetti da password. Di questi fanno parte, per esempio, i profili sui social network, l’online banking, le caselle di posta elettronica, gli spazi di archiviazione su cloud, le licenze, le chat, i file multimediali, le criptovalute, e molto altro. Nell’età contemporanea, se qualcuno viene improvvisamente a mancare, i suoi profili ed i contenuti online, anche quelli strettamente personali, gli sopravvivranno. Nel caso in cui, come è molto probabile che sia, le password fossero note solo al defunto, a chi resta risulterà alquanto complicato farsi carico della sua eredità digitale. È per questo motivo che oggigiorno è fondamentale prendersi cura del proprio patrimonio digitale prima che sia troppo tardi.
In primo luogo, è fondamentale che il testamento del vostro patrimonio digitale fornisca una prima chiara visione ai vostri eredi: su che siti/piattaforme era attivo il deceduto? Quali contratti aveva sottoscritto e quali dati e proprietà aveva sparsi su Internet? I contratti dovrebbero essere terminati il prima possibile e i profili social andrebbero disabilitati, se non del tutto cancellati. Facebook, per esempio, offre un’opzione per trasformare il profilo dell’interessato in una pagina commemorativa, ma non è una funzione di cui dispongono tutti i social network. Inoltre, scrivere qualche riga su quale sia la sorte che vogliamo abbia la nostra presenza virtuale quando non ci saremo più ci dà modo di scegliere, volontariamente e liberamente, se vogliamo che di noi resti traccia online o meno. Sembra una cosa da poco, ma non lo è affatto. Ancora, due righe che ci permettono di disporre di una fetta ad oggi decisamente estesa del nostro spazio identitario: l’identità virtuale. Concretamente, come facciamo? Con le stesse modalità del testamento olografo, possiamo lasciare una scrittura ad una persona di fiducia, contenente password e altri codici di accesso, con le indicazioni per la gestione dei nostri profili online; oppure, nei casi più delicati, possiamo produrre una scrittura per atto pubblico, in modo tale che il Notaio supervisioni la puntuale applicazione delle disposizioni e la corretta gestione dell’eredità digitale.
Anche qui, basta poco per risolvere un tema fondamentale, che tuttavia è ancora sottovalutato da molti!
Come ha egregiamente riassunto A. Jorodowsky, “Non bisogna opporre resistenza né fuggire dal problema ma entrare in esso, fare parte di esso, usarlo come elemento di liberazione”.