C’è piena equiparazione tra l’artista digitale e quello tradizionale. Il principio vale tanto dal punto di vista artistico quanto da quello fiscale. Non vi è nessuna discontinuità tra le due forme di espressione che può manifestarsi con opere digitali commercializzate tramite non fungible token o con opere fisiche. Con la conseguenza che i compensi derivanti dalla vendita di tali beni sono trattati allo stesso modo, come redditi in capo all’artista, e non rileva se il pagamento è effettuato con moneta virtuale o in valuta corrente. Queste conclusioni sono state di recente elaborate a livello giurisprudenziale e mettono dei punti fermi da qui in avanti (sentenza n. 8269 del 28.02.2025 Cass. pen.).
Fiscalmente si configura un reddito di lavoro autonomo in entrambi i casi derivante dall’utilizzazione economica, da parte dell’autore, di opere dell’ingegno tra le quali sono ricomprese le opere qualificabili, in senso lato, come artistiche (art. 53 Tuir). L’artista che realizza opere che non hanno un supporto materiale ma sono in forma elettronico-digitale e sono commercializzate tramite i certificati di autenticità contenuti negli nft consegue dei ricavi sia dalla prima cessione dell’opera sia dalle cessioni successive effettuate dai collezionisti sulle quali maturano a suo favore dei canoni in percentuale sul prezzo (royalties). Quest’ultimo aspetto caratterizza il mercato delle opere nft come anche quello del pagamento in criptovalute.
I proventi delle vendite di nft sono redditi per l’artista digitale
L’aspetto che ha generato una certa incertezza prima che il quadro si delineasse in questo modo, almeno in capo a quegli artisti digitali che hanno ritenuto di non inserire nella dichiarazione fiscale i proventi derivanti dalla vendita di nft in quanto non inclusi in alcuna categoria reddituale, è il fatto che oggetto della transazione commerciale non fosse immediatamente l’opera ma l’nft e cioè il certificato di proprietà e autenticità dell’opera. In realtà, la natura meramente “virtuale” dell’opera, non riconducibile ad un sopporto materiale, comporta che la stessa risulta essere “incorporata” nell’nft.
Si tratta, in sostanza, di uno strumento rappresentativo di un altro bene che, appunto, ne “incorpora”, seppure virtualmente, tutte le caratteristiche e tutte le specificità, con la conseguenza che il reddito derivante all’autore dell’opera dalla cessione dello strumento che la contiene (come avviene per il supporto digitale sul quale è riprodotto un brano musicale) è indubbiamente un reddito che deriva dalla commercializzazione dell’opera dell’ingegno da lui creata. Il pagamento di tali nft mediante criptovaluta ha poi una rilevanza economica in quanto “moneta virtuale” e, pertanto, l’ammontare conseguito dall’artista costituisce reddito imponibile, soggetto, a dichiarazione e, poi, a tassazione. Quindi l’nft è considerato a tutti gli effetti al pari dell’opera d’arte materiale in capo all’artista subendone lo stesso trattamento fiscale.
Tassazione nft: per il collezionista vi sono divergenze rispetto alle opere d’arte
Dal punto di vista del collezionista, invece, permane una differenza (inspiegabile) tra i proventi derivanti dalla vendita di opere d’arte materiali e le vendite di opere “incorporate” in nft. Sia oggi sia in prospettiva futura la tassazione delle plusvalenze su opere d’arte e beni da collezione avviene quando ricorre un intento speculativo riscontrabile oggettivamente in base a parametri ora assenti ma che saranno individuati dal legislatore con la prossima attuazione della legge delega.
Negli altri casi, la plusvalenza non dovrebbe essere tassata anche se l’amministrazione finanziaria ragiona caso su caso basandosi in prevalenza sul comportamento del collezionista e sulla disponibilità o meno della documentazione sulla provenienza dell’opera.
Nel caso degli nft, invece, l’intento speculativo viene considerato sempre ricorrente in base alle norme vigenti con la conseguenza che la plusvalenza viene sempre tassata. Anche per le opere d’arte derivanti da successioni o donazioni si presume oggi e, sarà così anche in futuro, che l’intento speculativo non ricorra mentre per gli nft tale presunzione non è contemplata e quindi le plusvalenze devono essere dichiarate. Ancora, per i proventi derivanti dalle vendite delle opere d’arte e dei beni da collezione reinvestiti per acquistare altre opere o beni da collezione la tassazione è tendenzialmente da escludere. Cosa che invece, al momento, per gli nft di arte e collezionabili non è prevista con la conseguenza che tali proventi sono tassati anche in caso di reimpiego.
L’unica convergenza con le opere d’arte tradizionali ricorre con l’esclusione da tassazione della permuta tra nft aventi uguali caratteristiche e funzioni.