Ai sensi dell’art. 463 c.c. è indegno a succedere ed escluso dalla successione colui che abbia tenuto comportamenti particolarmente gravi in danno della persona della cui successione trattasi o di persone a questi legate da vincolo di coniugio o di parentela in linea retta o abbia leso la libertà testamentaria.
Cosa significa essere indegni a succedere?
A differenza dell’incapacità successoria, l’indegnità non costituisce un’incapacità generale e non impedisce la chiamata, ma si sostanzia in una sanzione che comporta la rimozione dell’acquisto successorio.
Chi può far valere l’indegnità?
È bene notare, però, che l’indegno può essere escluso dalla successione solo officio iudicis ed è, pertanto, onere dei successibili diretti o i legittimati subentranti (tra cui anche i creditori dei chiamati alla successione) promuovere un’azione per far annullare l’acquisto dell’eredità fatto dall’indegno, in ossequio alla massima: indignus potest capere sed non potest retinere.
Termini di prescrizione dell’azione di esclusione
Tale azione è soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale, che decorre dal momento dell’apertura della successione o dalla data in cui si è verificato il fatto che ha determinato l’indegnità. Trascorsi 10 anni, l’indegno non potrà più essere escluso dalla successione, indipendentemente dalla gravità delle sue azioni.
I casi di indegnità a succedere previsti dalla legge
I casi di indegnità sono tassativamente previsti dalla legge e non suscettibili di interpretazione analogica.
- Si raggruppano le fattispecie in due categorie:
- a) attentati alla personalità fisica e morale del de cuius del coniuge, di un discendente o un ascendente del medesimo, come l’omicidio o il tentato omicidio dei soggetti menzionati (art. 463, nn. 1, 2 e 3 c.c.);
- b) attentati alla libertà testamentaria, come la falsificazione, la soppressione o l’occultamento di un testamento (art. 463, nn. 4, 5 e 6 c.c.).
A queste si aggiunge il caso introdotto con la L. 137/2005 sub n. 3 bis dell’art 463 c.c. che disciplina l’indegnità per decadenza dalla responsabilità genitoriale.
Gli effetti dell’indegnità sulla successione
L’effetto principale del compimento di uno dei fatti elencati dall’art. 463 c.c. è l’esclusione del soggetto dalla successione, sia essa legittima o testamentaria.
Per altro, nel caso di successione testamentaria l’esclusione si verifica indipendentemente dalla circostanza che la successione avvenga a titolo universale o a titolo particolare, ragion per cui essa è comminata anche al legatario che sia indegno.
Fino a quando l’indegnità non viene accertata dal giudice con una sentenza definitiva, il sospetto indegno mantiene i diritti di successibile e può accettare l’eredità o il legato, oltre a compiere atti conservativi sui beni ereditari, in linea con quanto previsto dall’art. 460 c.c.
Una volta accertata l’indegnità, il soggetto perde la qualità di erede (o legatario) ed è obbligato a restituire i beni ereditari già acquisiti e i frutti da essi percepiti sin dal momento dell’apertura della successione. Tali restituzioni andranno a favore di colui o coloro che hanno il diritto di conseguire i beni ereditari in luogo dell’indegno e che, promuovendo l’azione, li hanno tacitamente accettati.
Sono fatti salvi gli atti di ordinaria amministrazione compiuti dall’indegno prima della pronuncia della sentenza. Per quanto riguarda gli atti dispositivi, occorre distinguere quelli a titolo gratuito da quelli a titolo oneroso; i primi sono annullabili, i secondi possono essere salvaguardati solo se compiuti da terzi in buona fede, che non fossero a conoscenza della causa di indegnità.
Riabilitazione dell’indegno: come funziona?
Il legislatore, all’art. 466 c.c., prevede la possibilità per il de cuius di riabilitare l’indegno, consentendogli di essere ammesso alla successione, come se la causa di indegnità non fosse mai esistita. Tale riabilitazione, che deve essere espressa tramite atto pubblico o disposizione testamentaria, elimina ogni effetto dell’indegnità e consente all’indegno di acquisire l’eredità o il legato. Tuttavia, tale atto non è applicabile se il fatto che determina l’indegnità è stato commesso in epoca contemporanea o successiva alla morte del de cuius.
L’atto di riabilitazione è un negozio giuridico unilaterale non recettizio, dal momento che per produrre i suoi effetti non deve essere né comunicato, né tanto meno notificato al soggetto interessato.
Altri casi di esclusione dalla successione: la separazione con addebito
Oltre all’indegnità, il codice civile contempla altre situazioni che possono comportare l’esclusione di un soggetto dalla successione.
Si rammenta, in particolare, la separazione con addebito che, ai sensi dell’art. 585 c.c., comporta la perdita, per il coniuge separato con addebito, dei diritti successori. Come sottolinea autorevole dottrina, tale fattispecie non integra un altro caso di indegnità, ma una vera e propria incapacità a succedere. Gli effetti dell’esclusione successoria possono essere revocati solo in caso di riconciliazione formale tra i coniugi.
La diseredazione e la sua limitazione nel diritto moderno
Nel diritto successorio moderno, la diseredazione non ha la stessa ampia portata che aveva nel diritto romano: infatti, non può essere utilizzata per escludere dalla successione coloro ai quali la legge riserva una quota del patrimonio del de cuius (i legittimari) che possono esercitare l’azione di riduzione per ottenere quanto a loro spettante. Oggi la diseredazione può essere utilizzata solamente per escludere dalla successione i non legittimari.
Eppure, una particolare ipotesi di diseredazione che merita attenzione è quella introdotta con l’art. 448-bis c.c., che rappresenta una novità significativa. Tale disposizione, consentendo al figlio di diseredare il genitore decaduto dalla responsabilità genitoriale per comportamenti che, pur non rientrando nei casi di indegnità, sono stati giudicati gravemente pregiudizievoli, ammette, di fatto, la legittimità di una disposizione negativa di esclusione dalla successione.