Una catena virtuosa: più fonti rinnovabili avremo, più saranno produttive ed efficienti
C’è consapevolezza e voglia da parte di investitori istituzionali e non di investire in questo settore
Un’occasione per essere lungimiranti
L’Italia con circa il 20% di produzione da energie rinnovabili è tra i paesi più virtuosi d’Europa. “All’inizio del boom, 12-15 anni fa c’erano forti incentivi in molti paesi che scatenarono questa crescita abbastanza importante. Però oramai la tecnologia consente di fare delle installazioni per energie rinnovabili anche in assenza di incentivi, quello che in gergo viene definito ‘grid parity’ – spiega l’esperto – In Italia, negli ultimi anni per costruire un fotovoltaico iniziano a non essere più necessari gli incentivi e questo rappresenta una vera rivoluzione in quanto le rinnovabili diventano competitive con le fonti tradizionali del petrolio o del carbone. Il futuro per le grandi centrali energetiche in Europa, ma anche nel resto del mondo, sono le energie rinnovabili con una evoluzione tecnologica considerevole”, sottolinea de Blasio.
Una catena virtuosa
Grazie all’accordo sulle rinnovabili e l’efficienza energetica raggiunto dal parlamento Ue, l’Europa ridurrà la sua dipendenza da fornitori esterni di petrolio e gas, migliorerà la qualità dell’aria locale e proteggerà il clima. “Durante il lockdown, che non ha inciso minimamente sul nostro settore dato che gli impianti vanno a fonti rinnovabili, quindi da soli (non abbiamo bisogno di spingere un bottone per far arrivare il sole), abbiamo notato che in molte zone d’Europa, essendoci meno inquinamento, i nostri impianti hanno reso meglio. Si tratta di una catena virtuosa: l’inquinamento che si produce con le fonti fossili fa rendere di meno le fonti rinnovabili. Quindi più fonti rinnovabili avremo e più saranno produttive ed efficienti”, sottolinea de Blasio.
Un asset strategico per gli investitori
Gli investitori istituzionali sono molto attratti dalle infrastrutture energetiche, perché si tratta di investimenti infrastrutturali, quindi di lungo periodo. “Si tratta di un tipo di investimento che ha un rendimento abbastanza programmabile e stabile e di conseguenza diventa attraente per quelle categorie di investitori come i family office, gli Hnwi, ma anche fondi pensione, assicurazioni e casse di previdenza”. Non si può rendere liquido questo tipo di investimento e quindi per ora fino a quando non si svilupperanno gli strumenti giusti per il mercato retail non è adatto agli investitori privati. “Stiamo studiando delle forme alternative per far arrivare in questa asset class anche i privati, con prodotti che necessariamente devono avere dei vantaggi di fiscalità tipo i Pir, anche se poi la liquidità per l’eventuale exit di un investitore privato la deve garantire un gruppo bancario, una sim o una sgr che magari ha un mercato secondario”, aggiunge il ceo di Green Arrow Capital, il più grande operatore e gestore indipendente di fondi alternativi in Italia.
L’altra faccia della medaglia: le criticità
“C’è ormai una consapevolezza sia da parte dei cittadini che delle autorità locali, nazionali e transnazionali e la voglia da parte di investitori istituzionali e non di investire in questo settore, dove si possono avere dei buoni rendimenti, soprattutto in quest’epoca di tassi a zero se non negativi e in cui i bond non rendono più nulla, o dove andare sull’azionario significa esporsi al rischio di palpitazioni e paure”, spiega l’esperto. “La principale criticità è che trattandosi di infrastrutture bisogna seguire tutto il lungo iter autorizzativo da parte delle autorità locali. Riuscire ad avere l’autorizzazione per un impianto eolico in Italia è un delirio, ci si può impiegare anche sette anni. Se ci danno un obiettivo del genere, che le rinnovabili devono rappresentare il 32% dell’energia consumata entro il 2030, che è un obiettivo nobile, i vari paesi devono avere un’organizzazione efficiente per poter riuscire a realizzare nei termini queste indicazioni. Di conseguenza, sulla comunione di interessi e di intenti, la realizzazione di queste opere diventa faticosa perché esistono degli ostacoli burocratici elevati e delle procedure complesse. Siamo pronti, siamo tecnologicamente e professionalmente adeguati, ci sono i soldi e ci sono gli investitori ma ci scontriamo con quella macchina ‘infernale’ che è la burocrazia italiana. Ciononostante siamo ottimisti ma non so se riusciremo a raggiungere l’obiettivo prefisso dal parlamento europeo entro il 2030”, conclude de Blasio.
Un’occasione per essere lungimiranti
“Tocca al governo, al parlamento, e alle rappresentanze territoriali convergere nella scelta di queste grandi priorità e sarà una sfida, lo so bene”, ha detto il commissario Paolo Gentiloni. “Si tratta di una occasione per essere lungimiranti”, ha sottolineato Gentiloni, ricordando “le cifre principali della next generation Eu: 55, 37 e 30. La riduzione delle emissioni al 2030, che era prevista al 40%, sarà una riduzione del 55%. All’interno della recovery and resilience facility, che costituisce gran parte del cosiddetto recovery fund, il 37% dovrà andare a investimenti per la sostenibilità ambientale”. E i 750 miliardi di debito comune che verranno emessi dalla Commissione europea “avrànno il 30% di emissioni sotto forma di green bond”.