- Nel 2023 le emissioni hanno subito un calo del 3,5% anno su anno ma il sotto-segmento green ha proseguito la sua corsa, sebbene a un ritmo inferiore rispetto al passato
- Marongiu: “Le nuove regole prevedono standard informativi piuttosto specifici e onerosi: un factsheet pre-emissione, una relazione annuale e una relazione di impatto”
Attualmente l’ammontare in circolazione di obbligazioni sostenibili europee supera i 2mila miliardi di euro, di cui i green bond rappresentano una fetta superiore al 60%. Secondo i dati Afme ricordati da Massimo Mocio, presidente di Assiom Forex intervenuto in apertura della Spring conference dell’associazione degli operatori dei mercati finanziari, nel 2023 le emissioni hanno subito un calo del 3,5% anno su anno ma il sotto-segmento green ha proseguito la sua corsa (sebbene a un ritmo inferiore rispetto al passato). E ha continuato a farlo anche quest’anno: nel primo trimestre le emissioni hanno sfiorato i 100 miliardi di euro, in crescita del 2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. È in questo scenario che si inserisce l’European green bond standard, il nuovo regolamento europeo che stabilisce norme uniformi per gli emittenti di obbligazioni che desiderano utilizzare la denominazione “obbligazione verde europea” o “EuGB” per commercializzare i loro titoli.
Green bond standard: cosa prevede
Nato con l’obiettivo di migliorare trasparenza e credibilità delle obbligazioni verdi, contrastare il greenwashing e favorire la transizione verso un’economia più sostenibile, si scontra da un lato con la presenza di best practice di mercato ben consolidate e dall’altro con oneri che alimentano i dubbi sul suo effettivo utilizzo. “Si tratta di un regime volontario che prevede che tutte le emissioni debbano finanziare attivi che rientrano nell’ambito della Tassonomia europea”, spiega Giordana Marongiu, senior manager di Be-Consulting. “Questo in un contesto in cui la Tassonomia non ha ancora completato al 100% la declinazione degli attivi che possono essere declinati in tali ambiti. In più, prevede standard informativi piuttosto specifici e onerosi: un factsheet pre-emissione che definisca in maniera chiara e puntuale gli obiettivi ambientali e come vengono messi in atto, una relazione annuale e una relazione di impatto che evidenzi gli effetti positivi e negativi scaturiti dall’emissione. E il tutto deve essere soggetto a revisione esterna”, chiarisce Marongiu.
I rischi per emittenti e investitori
Il rischio, per alcuni, è quello di restringere ulteriormente la nicchia di mercato. “L’intento di finanziare la transizione è sicuramente positivo, ma si stanno aggiungendo constraints (vincoli, ndr) a un mondo che già fatica a decollare”, sostiene Nicole Della Vedova, finance director di Snam. “In un contesto di volatilità elevata come quello attuale, quando si chiede all’emittente più trasparenza, più dati, elementi aggiuntivi per cui dovrà strutturarsi – e tutto questo ha un costo – ovviamente l’emittente stesso si chiederà quali siano i benefici di emettere un green bond”, aggiunge Della Vedova. Lato investitori, si tratta di un tema “molto pressante” per gli standard di sostenibilità per il risparmio gestito, interviene Federica Calvetti, esg coordinator di Eurizon. Come evidenziato da un’elaborazione della divisione asset management del Gruppo Intesa Sanpaolo sui dati Bloomberg, solo il 16% dell’indice Msci World ha titoli allineati alla Tassonomia Ue; un dato che scivola all’8% per l’Msci Acwi.
I green bond continuano a rappresentare una fetta importante del mercato, dice, ma si tratta di una fetta che non cresce. A mancare, secondo Calvetti, è da un lato un’apertura ad altre geografie (basti pensare agli Stati Uniti, il cui Tesoro non ha mai emesso un green bond) ma anche incentivi economici lato emittente. “Il tema dei green bond europei ha inoltre un grosso limite”, osserva Calvetti. “Oggi nel mondo si calcolano 48 tassonomie in sviluppo, quindi quando si dice che un green bond è allineato alla tassonomia, si parla della tassonomia europea. Un giorno dovremo diventare esperti di 48 tassonomie”. C’è però una nota positiva, conclude: “Il fatto che l’Ue stia valutando offerte di agenzie di rating che offrano una certificazione e valutazione al piano di transizione potrebbe essere un valore aggiunto non solo per il mercato del debito ma anche per il mercato dell’equity”.