Nell’ambito della scelta della tipologia societaria da utilizzare come holding, occorre – fra le altre cose – conoscere e riflettere sulle regole fiscali applicabili allo strumento prescelto in occasione della successione mortis causa delle partecipazioni sociali ovvero del trasferimento gratuito per donazione delle stesse.
A tal riguardo gli ambiti di interesse che nel presente contributo si vogliono evidenziare sono sostanzialmente due, ossia
(i) l’applicabilità o meno dell’esenzione da imposta di donazione e successione di cui all’art. 3 co. 4-ter del d.lgs. n. 346/90 nel caso di società semplice o di società di capitali;
(ii) le regole concernenti la determinazione della base imponibile su cui applicare le aliquote dell’imposta di donazione e successione (ove non si possa applicare la predetta esenzione) nel caso di società semplice o di società di capitali.
L’applicabilità o meno dell’esenzione da imposta di donazione e successione di cui all’art. 3 co. 4-ter del d.lgs. n. 346/90
L’art. 3 co. 4-ter del d.lgs. n. 346/90 dispone che non sono soggetti ad imposta di donazione né di successione, anche se realizzati attraverso patti di famiglia, i trasferimenti:
- d’azienda o di rami d’azienda;
- di quote sociali;
- di azioni;
a condizione che:
- il destinatario del trasferimento sia un discendente o il coniuge del disponente;
- qualora detti trasferimenti abbiano ad oggetto partecipazioni in società di capitali, il trasferimento consenta al beneficiario di acquisire o integrare il “controllo” della società, ai sensi dell’art. 2359 co. 1 n. 1 c.c.;
- i beneficiari del trasferimento proseguano l’esercizio dell’impresa o detengano il controllo della società le cui partecipazioni sono state trasferite per un periodo non inferiore a 5 anni dalla data del trasferimento.
Qualora venga meno l’ultima condizione richiesta (esercizio quinquennale dell’impresa trasferita o mantenimento quinquennale del controllo), si verifica la decadenza dal beneficio, con conseguente obbligo di corrispondere l’imposta in misura ordinaria, oltre ad una sanzione amministrativa del 30% su ogni importo non versato ed oltre agli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta avrebbe dovuto essere pagata.
Si evidenzia che l’esenzione si estende anche alle imposte ipotecaria e catastale relative agli immobili contenuti nell’azienda ceduta, a norma degli artt. 1 co. 2 e 10 co. 3 del d.Lgs. n. 347/90.
Con riguardo alle società di capitali, quindi, è necessario che venga trasferita una quota che consenta di acquisire o integrare il controllo e che la partecipazione trasferita venga detenuta dal beneficiario per almeno 5 anni. Sul tema si segnala l’intervento dell’Agenzia delle Entrate con risposta a interpello n. 552/2021 secondo cui l’applicazione dell’esenzione richiede anche il trasferimento di «un’azienda», pertanto l’esenzione non potrebbe trovare applicazione, secondo tale risposta, ove sia trasferito il 100% delle quote di una holding che a sua volta detiene solo una quota di minoranza nella società operativa. Tale interpretazione – criticata dalla dottrina che sinora ha commentato la risposta ad interpello – getta nuovi scenari di cui occorre tenere conto, essendo peraltro necessari tutta una serie di chiarimenti sul punto.
Con riguardo all’applicabilità di quanto sopra alla società semplice, si segnala, invece, come, nel corso degli anni, si sia sviluppato un ampio dibattito, posto che tale tipologia societaria, per definizione, non consente l’esercizio dell’impresa commerciale e, quindi, il trasferimento di tali partecipazioni non sarebbe idoneo, secondo taluni primi commentatori, a perseguire la ratio dell’esenzione (ovverosia la prosecuzione dell’impresa della famiglia senza scontare imposizione). Una parte della dottrina (risalente) ha pertanto ritenuto non applicabile l’esenzione al trasferimento delle partecipazioni di società semplice. Tuttavia, è da segnalare che la dottrina più recente esprime un orientamento diametralmente opposto, ritenendo che la lettera normativa non permetta di escludere le partecipazioni di società semplice dall’esenzione. La questione è quindi aperta e sicuramente dubbia.
Con riguardo all’applicabilità di quanto sopra alla società semplice, si segnala, invece, come, nel corso degli anni, si sia sviluppato un ampio dibattito, posto che tale tipologia societaria, per definizione, non consente l’esercizio dell’impresa commerciale e, quindi, il trasferimento di tali partecipazioni non sarebbe idoneo, secondo taluni primi commentatori, a perseguire la ratio dell’esenzione (ovverosia la prosecuzione dell’impresa della famiglia senza scontare imposizione). Una parte della dottrina (risalente) ha pertanto ritenuto non applicabile l’esenzione al trasferimento delle partecipazioni di società semplice. Tuttavia, è da segnalare che la dottrina più recente esprime un orientamento diametralmente opposto, ritenendo che la lettera normativa non permetta di escludere le partecipazioni di società semplice dall’esenzione. La questione è quindi aperta e sicuramente dubbia.
La determinazione della base imponibile ai fini dell’imposta di donazione e successione.
Secondo aspetto qui analizzato riguarda le regole concernenti la determinazione della base imponibile su cui applicare le aliquote dell’imposta di donazione e successione ove non si possa applicare la predetta esenzione.
Società di capitali
Il Testo unico sulle imposte di donazione e successione precisa che la base imponibile, relativamente alle azioni, obbligazioni, altri titoli e quote sociali compresi nell’attivo ereditario, è determinata assumendo per le azioni e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, non quotate in borsa, né negoziati al mercato ristretto, nonché per le quote di società non azionarie, comprese le società semplici e le società di fatto, il valore proporzionalmente corrispondente al valore, alla data di apertura della successione, del patrimonio netto dell’ente o della società risultante dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti».
Per le società che redigono il bilancio o l’inventario, pertanto, si fa riferimento al patrimonio netto da essi risultante, assumendo il valore in proporzione alla partecipazione caduta in successione o trasferita mediante donazione. Si precisa che secondo giurisprudenza costante, il valore del patrimonio netto risultante dal bilancio “è vincolante per l’Amministrazione finanziaria, che non può procedere ad un’autonoma valutazione del valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti alla società al netto delle passività, salvo che non denunci (motivatamente) la inattendibilità delle poste di bilancio (da ultimo vedasi Cass., sentenza 23 giugno 2010, n. 15187).
Società semplice
Nelle società semplici, posto che ci si trova di fronte ad una situazione in cui vi è assenza di bilancio o inventario (poiché la loro redazione non è prevista per legge con riferimento a tale tipologia societaria), il valore della quota deve essere calcolato in proporzione “al valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti all’ente o alla società al netto delle passività risultanti a norma degli articoli da 21 a 23, escludendo i beni indicati alle lettere h) e i) dell’art. 12” del d.lgs. 346/90, sicché bisogna procedere a una valutazione analitica del valore complessivo dell’azienda, attraverso la quantificazione del valore effettivo attribuibile a ciascun bene e diritto di cui la società è titolare, secondo i criteri indicati dagli artt. 14 e ss. del d.lgs. 346/90.
Sul tema si segnala che la recente Risposta ad interpello n. 5 del 5 gennaio 2021 ha precisato che in caso di successione o donazione avente a oggetto le quote di una società semplice titolare di immobili, che non abbia redatto né bilancio né inventario, trova applicazione la valutazione automatica nella definizione del valore degli immobili sociali (diversi dai terreni edificabili); in particolare è stato precisato che «la base imponibile relativa agli immobili, oggetto di donazione o successione, è costituita, quanto alla piena proprietà, dal valore venale in comune commercio degli stessi. Come chiarito anche dalla Circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E, tale norma va coordinata con la previsione di cui all’articolo 34, comma 5, del TUS, che preclude la rettifica di valore da parte degli uffici dell’Agenzia nell’ipotesi in cui il valore dichiarato sia almeno pari al c.d. “valore tabellare”.
Considerazioni finali
Da quanto scritto, appare chiaro che optare per l’una o l’altra soluzione non è indifferente, considerato che possono esserci conseguenze fiscali diverse che possono manifestarsi anche diversi anni dopo la costituzione dello strumento da utilizzare come holding.
È quindi sempre opportuno affidarsi, nella propria riorganizzazione familiare, a professionisti che creino delle soluzioni tagliate su misura avendo riguardo allo specifico caso del cliente, condividendo con quest’ultimo tutti i potenziali risvolti della scelta effettuata.