È questa la soluzione cui sono addivenute le Sezioni Unite della Suprema Corte mediante la recente sentenza 25 luglio 2022, n. 23051, chiamate a pronunciarsi al fine di risolvere una questione ritenuta di “massima importanza” e sulla quale si contrapponevano due orientamenti contrastanti in seno alla medesima Corte.
Ripercorrendo per sommi capi l’iter processuale che ha condotto alla decisione in commento, si specifica come la questione avesse ad oggetto l’interpretazione dell’art. 4 della tariffa parte I allegata al dpr n. 131/86 (c.d. “Testo Unico imposta sul Registro”), relativamente all’applicazione dell’imposta di registro agli atti di scissione, qualora questi coinvolgano le società semplici.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate si era opposta alla decisione con cui la Commissione tributaria regionale aveva ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione volto al recupero dell’imposta proporzionale di registro su un atto notarile di scissione societaria al quale per l’appunto era stata applicata la suddetta imposta in misura fissa, in applicazione del citato art. 4, lett. b) della tariffa parte I allegata al Tur. Ciò in quanto l’Amministrazione finanziaria aveva ritenuto che, trattandosi nella specie di scissione a favore di società semplice non avente per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale né agricola (nel dettaglio gestione di partecipazioni), l’atto fosse da assoggettare non già ad imposta fissa, bensì a quella proporzionale del 3%, residualmente riservata “agli atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.
Sul punto, come premesso, interveniva la Quinta Sezione della Suprema Corte (a seguito di impugnazione della sentenza di secondo grado favorevole al contribuente) che, rilevata sul punto l’esistenza di due filoni giurisprudenziali contrastanti, rimetteva gli atti al Primo presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, mediante ordinanza 11 novembre 2021, n. 33312.
Nello specifico secondo un primo orientamento – sposato dall’Agenzia delle Entrate – l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa ex art. 4 cit. troverebbe applicazione unicamente alle società e agli enti aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole. Secondo tale tesi dunque risulterebbe inibita la possibilità di applicare l’imposta di registro in misura fissa alle società semplici (non agricole) giacché queste ultime non possono, ex lege, svolgere attività commerciali.
Il secondo, divergente, orientamento presente in Cassazione conduceva invece ad una diversa lettura dell’art. 4 cit., il quale ben risulterebbe applicabile anche alle società semplici (e quindi anche nel caso di operazioni straordinarie quali le fusioni), giacché la norma farebbe riferimento alle “società di qualunque tipo ed oggetto”, senza necessità dunque di procedere con la verifica dell’oggetto sociale dalle stesse perseguito.
La questione, semmai, rileverebbe per gli “enti diversi dalle società”, per i quali sì bisognerebbe effettuare un distinguo tra quelli che hanno per oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di attività agricola e quelli con attività diversa dal quest’ultima.
Ebbene, alla luce di tale divergenza di vedute, le Sezioni Unite investite della questione hanno avallato la seconda tesi (sostenuta dalla contribuente), affermando il seguente principio di diritto: “l’atto di scissione relativo a società semplice è assoggettato, ex art. 4 Tariffa Parte Prima allegata al dpr 131/86, ad imposta di registro in misura fissa, dal momento che il requisito normativo dell’oggetto esclusivo o principale di natura commerciale o agricola non concerne le società ma soltanto gli enti diversi da queste”.
Si tratta dunque a ben vedere di una decisione di particolare interesse pratico: non solo perché proviene dalla composizione più autorevole della Suprema Corte, ma altresì perché pone un punto fermo nella (fino ad oggi) discussa tematica dell’imposta di registro applicabile alle fusioni che coinvolgano le società semplici: queste ultime infatti, grazie sia alla loro snellezza negli adempimenti burocratici e ai costi estremamente ridotti sia alla massima flessibilità di gestione, sono spesso utilizzate come asset fondamentale nella gestione aziendale (ad esempio come holding o società “cassaforte”) piuttosto che nella delicata fase della pianificazione successoria. E proprio grazie alla sentenza in commento il loro utilizzo potrebbe godere di un nuovo slancio.