Residenza (fittizia) estera: quando sono imponibili in Italia i compensi? L’individuazione del reale domicilio fiscale del contribuente deve basarsi anche sulla verifica dell’effettivo centro di affari e interessi, non solo economici, ma anche morali e familiari Nell’ambito di una verifica l’autorità può basarsi anche sul numero dei giorni trascorsi in Italia o sulle eventuali partecipazioni ad assemblee o riunioni in Cda di società italiane direttamente o indirettamente partecipate La mera circostanza di aver costituito una società all’estero non è sufficiente, a certe condizioni, per dimostrare la residenza all’estero da un punto di vista fiscale I proventi derivanti da un’attività professionale svolta in Italia ma fatturati attraverso una società schermo situata all’estero sono imponibili in Italia. Questo è uno dei principi ricavabili da una recente ordinanza della Corte di Cassazione, occupatisi di un caso di residenza fittizia all’estero. Il caso di specie Più nel dettaglio, la questione sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità, riferiva al caso di un professionista italiano (medico ortopedico) che, come emerso dalla pronuncia, al fine di sottrarre a imposizione i compensi percepiti in Italia, si avvaleva per la fatturazione delle prestazioni di una società schermo situata nel Regno Unito. Invero, come emerge dal provvedimento, il professionista, iscritto all’Aire, è da considerare comunque soggetto passivo d’imposta in Italia in quanto, per un verso, è nel territorio dello Stato che questi: – aveva la sua residenza sostanziale – aveva stabilito il suo centro di interessi lavorativi – aveva i propri affetti e il nucleo familiare – era proprietario di immobili e intestatario di utenze domestiche – svolgeva attività lavorativa presso diverse strutture sanitarie. per un altro, come emerso dalla documentazione fornita dall’Agenzia delle entrate, in Inghilterra: – non svolgeva alcuna attività lavorativa – non possedeva immobili – non pagava le imposte La mera circostanza di aver costituito una società nel Regno Unito (che svolgeva solo attività di segreteria) non è sufficiente, ad avviso dell’amministrazione finanziaria, per ritenere il contribuente residente all’estero da un punto di vista fiscale. Al contrario, la residenza del contribuente deve considerarsi localizzata nel Regno Unito solo dal punto di vista formale, stante il fatto che da un punto di vista sostanziale, a fronte della documentazione fornita in giudizio, il centro vitale degli interessi era situato in Italia. La società costituita in Uk assumeva i connotati di soggetto fittiziamente interposto, “schermo fiscale”, volta a sottrarre a tassazione i proventi percepiti in Italia. La residenza fittizia La residenza estera è classificata come fittizia dal punto di vista sostanziale il contribuente conserva il proprio centro di interessi (affari e affetti) in Italia. Come ritiene la giurisprudenza prevalente, l’individuazione del domicilio fiscale deve basarsi sull’effettivo centro degli affari e degli interessi, non solo economici, ma anche morali e familiari, desumibile dal fattore dirimente della reale permanenza del soggetto nel territorio nazionale. Nell’ambito di una verifica e successivamente di una controversia, l’autorità verifica e fonda eventualmente la propria decisione anche in considerazione di indizi quali: – numero dei giorni trascorsi in Italia – eventuali partecipazioni ad assemblee o riunioni in Cda di società italiane direttamente o indirettamente partecipate – frequentazione di circoli privati, eventi mondani e sociali nel territorio nazionale – movimenti di capitali e bonifici esteri accreditati su istituti di credito italiani.

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L’individuazione del reale domicilio fiscale del contribuente deve basarsi anche sulla verifica dell’effettivo centro di affari e interessi, non solo economici, ma anche morali e familiari

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