In particolare, il contraente – insoddisfatto dalla performance negativa dei fondi d’investimento al cui andamento erano collegate le prestazioni previste dalla polizza – chiedeva al giudice di dichiarare la nullità del contratto di assicurazione, per asserita violazione delle norme del Testo unico della Finanza (Tuf) e in particolare per l’asserita mancata conclusione da parte dell’assicuratore del c.d. “contratto quadro”. In base alle suddette motivazioni pretendeva dalla compagnia di assicurazioni la restituzione del premio pagato, detratti i riscatti parziali che nel corso della durata del contratto aveva percepito.
Il tribunale di Pesaro ha rigettato le domande del ricorrente dichiarando che la condotta lamentata non è imputabile alla compagnia di assicurazione contro la quale la causa era stata intentata.
Molti contraenti di polizze unit-linked che hanno subito perdite dovute alla performance negativa degli attivi finanziari in cui il contratto investiva, anche molti anni dopo la stipula, decidono di intraprendere azioni legali nei confronti della compagnia di assicurazione, invocando l’asserita inesistenza del c.d. “contratto quadro”, per ottenere la ripetizione del premio pagato ed evitare così le conseguenze di un investimento che non ha portato i risultati sperati, ma la tesi si rivela spesso infondata.
Come noto, le polizze unit-linked sono contratti di assicurazione sulla vita in cui le prestazioni a favore del contraente e dei beneficiari sono collegate al valore degli attivi finanziari in cui viene investito il premio pagato dal contraente (tipicamente il pagamento di un valore di riscatto a richiesta del contraente e una prestazione in caso di decesso).
Nel caso in questione, la polizza seguiva una schema contrattuale frequentemente utilizzato da compagnie di assicurazioni comunitarie, ove il valore delle prestazioni era collegato ad un fondo personale – ovvero un fondo interno dedicato espressamente al contraente – e si caratterizzava per la struttura cosiddetta ad “architettura aperta”, in base alla quale il contraente sceglieva un profilo d’investimento adeguato alla propria propensione al rischio, alle proprie esigenze ed obiettivi di investimento, proponeva la scelta di un gestore per gestire il fondo interno collegato alla polizza in modo personalizzato e coerente al profilo d’investimento prescelto. La polizza era stata venduta in Italia da una società di brokeraggio, ovvero un mediatore assicurativo che agiva su incarico del contraente senza rapporti di mandato con l’assicuratore.
Con la denominazione di “contratto quadro” ci si riferisce al contratto di intermediazione finanziaria che l’intermediario abilitato ai sensi del Tuf è tenuto a stipulare per iscritto con l’investitore prima di prestare servizi di intermediazione finanziaria, obbligo che all’epoca dei fatti era stato esteso anche alla distribuzione di polizze unit-linked. Il contratto quadro, in pratica, fornisce informazioni all’investitore sui servizi di intermediazione finanziaria che l’intermediario offre al cliente. L’inesistenza/invalidità del contratto quadro comporta a determinate condizioni la nullità dell’operazione di investimento.
A fronte della richiesta di restituzione del premio per l’asserita mancata conclusione del contratto quadro, la compagnia di assicurazione ha eccepito che il ricorrente avrebbe dovuto agire in giudizio contro l’intermediario, perché in ogni caso astrattamente l’obbligo di concludere il c.d. contratto quadro riguardava solo l’intermediario e non l’emittente. In secondo luogo, la compagnia di assicurazione aveva chiarito che non tutti gli intermediari sono tenuti a stipulare il contratto quadro, ma solo i “soggetti abilitati”, definiti espressamente dal Tuf, tra cui non sono compresi i mediatori di assicurazione, la cui attività è regolata da norme diverse, ovvero dal Codice delle Assicurazioni e dai regolamenti dell’Ivass.
Il sistema del “doppio binario” è una peculiarità del nostro ordinamento giuridico, in virtù del quale la distribuzione di polizze unit-linked è disciplinata da due comparti di norme diverse, in funzione della ripartizione di competenze tra Ivass (competente all’epoca dei fatti di causa in relazione ad agenti, brokers e altri intermediari tradizionali) e Consob (tenuta a vigilare sugli intermediari abilitati ai sensi del TUF).
Senza affrontare direttamente la questione determinante della necessità o meno di concludere il contratto quadro nel caso di cui si tratta – considerato che la polizza era stata distribuita da un broker e che la documentazione precontrattuale forniva al contraente tutte le informazioni affinché potesse effettuare una scelta d’investimento consapevole e informata – il Tribunale ha in ogni caso confermato l’estraneità della compagnia rispetto alla domanda di nullità della polizza e di restituzione del premio.
Peraltro, anche la Suprema Corte ha in più occasioni confermato che è il broker e non l’assicuratore a dover rispondere dei danni derivanti dall’eventuale violazione degli obblighi informativi e di condotta che gravano autonomamente sullo stesso nella fase di intermediazione di un prodotto assicurativo.
Questa decisione contribuisce a consolidare l’orientamento giurisprudenziale cui hanno aderito numerosi tribunali italiani che si sono pronunciati in favore dell’assicuratore in casi analoghi.