Vita e filosofia secondo Giovanni Gastel

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È stato tra i fotografi più amati nel mondo. Partito dalla moda e nell'ultimo periodo focalizzato su ritratti delle personalità del nostro tempo. Vittima del Covid-19, lascia un'eredità artistica importantissima. We Wealth aveva raccolto la sua voce in una lunga intervista un anno fa e in questo pezzo ne pubblichiamo una parte finora inedita. Per ricordare il suo modo unico di interpretare la fotografia sempre rimanendo fedele al proprio stile e ai propri valori
Giovanni Gastel, fotografo italiano tra i più amati e noti in Italia e all'estero, è deceduto lo scorso 13 marzo 2021 a causa del coronavirus. Importantissima l'eredità artistica che ha lasciato. Non solo in termini di opere fotografiche realizzate per le più importanti campagne pubblicitarie degli ultimi venti anni e per gli scatti di moda pubblicati sulle principali riviste del settore.
Ma anche per i ritratti delle più grandi personalità del nostro tempo che ha eseguito nell'ultima parte della sua vita in modo unico e originale. I suoi scatti impreziosiscono le collezioni più riservate. Da ultimo fino al 7 novembre la mostra “Passo a Due” presso le Gallerie d'Italia a Milano ospiterà trenta suoi scatti dedicati alla carriera di Roberto Bolle, già étoile della Scala. Con garbo e eleganza lo scorso giugno 2020 ci ha aperto il suo mondo in una intervista di cui We Wealth ha pubblicato un estratto prima della sua morte. Ora quegli stessi temi vengono ripresi con il materiale ancora disponibile e inedito. Ne viene fuori un ritratto unico sul suo modo di interpretare la fotografia sempre rimanendo fedele al proprio stile e ai propri valori. Vista oggi, la forma sembra quella di un testamento spirituale per i lettori postumi, per coloro che lo hanno amato e per i fotografi di domani.
Le origini. Sono uno strano “insanguamento”: mio padre della piccola borghesia che poi ha fatto affari e ha avuto molto successo e mia madre dell'alta aristocrazia, una Visconti. Ho vissuto un'infanzia molto bella tra case meravigliose e castelli. Allevato come settimo figlio. Quando però mi hanno buttato fuori dalla porta non era il mondo che mi avevano prospettato... era tutto più brutto... Ma cosa potevo fare? Potevo solo chiudermi in una cantina e raccontare di quel mondo lì. Quello per cui ero stato preparato, che ha generato tutta una estetica di eleganza, di buon gusto, di rispetto per la donna, eleganza direi anche come valore morale.

Il teatro. Da giovane ho fatto teatro e ho capito che preferivo la pantomima al reale. Non mi interessa il reale, non ne capisco le regole. Non critico il mondo, semplicemente non sono stato costruito con gli strumenti per vivere in questo mondo. Non capisco i comportamenti, la nevrosi, le scelte politiche. Non vedo neanche più i telegiornali. E così la mia fotografia è sempre un'operazione di pantomima...

Gli inizi della carriera. Quando ho iniziato da Vogue mi hanno chiesto di fare dei piccoli Still life di contorno a un servizio di bellezza. Si trattava di piccoli lavori che in molti avrebbero sottovalutato. Per me invece era importante rendere al massimo. Mi sono impegnato tantissimo perché quello che conta è sempre il “momento”, né prima né dopo. Quando hanno visto i miei scatti hanno detto che erano dei piccoli capolavori...

La distonia nella fotografia. La realtà è eterno movimento, io sono eterna immobilità. Già in questo c'è una distonia. Io creo icone, immagini magiche, “macchine per pensare” che però hanno un'attinenza molto relativa con il reale. Il punto di osservazione per me è la mia lieve distonia rispetto a tutti gli altri. Ho sempre cercato quello che mi distingue dagli altri. Pochi lo vogliono fare anche se potrebbero farlo tutti. Questo riguarda anche i creativi. Lo fanno in pochi perché si tratta inevitabilmente di una scelta di solitudine in fondo. Temo che non ci sia altra strada. Tutti i grandi che ho conosciuto nella mia vita, come ad esempio mio zio Luchino Visconti, erano in fondo molto soli. Magari frequentavano molta gente ma in fondo cercavano la propria differenza.

Questa differenza diventa stile che va poi a ricaduta su tutto quello che fai, su tutto quello che fotografi, su tutto quello che scrivi. Diventa un punto di osservazione, in cui tu osservi la realtà. L'eleganza e le tasse. La parola che ho trovato per definire la mia estetica è “eleganza”. Però “eleganza” vuol dire anche pagare le tasse. Non puoi indossare la giacca con il fazzoletto e metterla nel sedere a tutti. Meglio di no, un gentiluomo non lo fa. Io sfuggo a quasi tutte le regole tranne quelle della società in cui vivo. Le rispetto tutte. E così vale anche nei confronti delle donne, riesco a farle molto belle perché l'eleganza non è mai volgare.

I collezionisti. Mi immedesimo molto con i collezionisti. Non penso mai a quello che farebbe piacere a me ma a quello che farebbe piacere a loro. E per questo l'autenticità, la firma, la data e la certezza delle edizioni hanno importanza assoluta. Io accompagno i miei lavori con un atto notarile in cui certifico tutti gli elementi della fotografia che stai acquistando. E vendo solo attraverso i miei galleristi. Chi sono i miei collezionisti? Sono prevalentemente uomini. Molti di questi sono in Francia. Le donne vengono da me per i ritratti per lo più.
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Specializzato in diritto tributario presso la Business School de Il Sole 24 ore e poi in diritto e fiscalità dell’arte, dal 2004 è iscritto all’Albo degli Avvocati di Milano ed è abilitato alla difesa in Corte di Cassazione. La sua attività si incentra prevalentemente sulla consulenza giuridica e fiscale applicata all’impiego del capitale, agli investimenti e al business. E’ partner di Cavalluzzo Rizzi Caldart, studio boutique del centro di Milano. Dal 2019 collabora con We Wealth su temi legati ai beni da collezione e investimento.

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