La concreta applicazione del regime delle retribuzioni convenzionali richiede però un’attenta analisi di alcuni elementi che vanno dal concetto di “trasferta”, alla modalità specifica di calcolo dei giorni di permanenza all’estero ovvero in Italia
Il Decreto Legislativo n. 209 del 27 dicembre 2023 ha ufficialmente modificato il perimetro di applicazione del c.d. “Regime Impatriati”, così come delineato dall’art. 16 del d.lgs. n. 147 del 14 settembre 2015 e dall’art. 5 del decreto-legge n. 34 del 30 aprile 2019.
La finalità della norma è tuttora quella di agevolare il rientro da parte di lavoratori, dipendenti o autonomi, che svolgono la propria attività, per la maggior parte del periodo di imposta in Italia e, dal 2024, che possiedono specifici requisiti di qualificazione e specializzazione.
Se si ragiona in termini generali di sistema si può affermare che il “Regime Impatriati” collega tra loro due elementi essenziali, richiedendone poi anche una specifica caratterizzazione: il fatto di acquisire la residenza fiscale in Italia e di svolgere qui, o almeno per la maggior parte del periodo di imposta, l’attività lavorativa.
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Il caso del lavoratore dipendente
Circoscrivendo il ragionamento al solo lavoro dipendente, va osservato che anche prima della modifica normativa e, in particolare, dell’introduzione dei requisiti di alta qualificazione e specializzazione oggi previsti dall’art. 5, comma 1, lett. d) del D.Lgs. n. 209/2023, si verificavano situazioni in cui, ad esempio, il ruolo aziendale rivestito dall’interessato non era conciliabile con una attività lavorativa prestata in Italia per la maggior parte del periodo di imposta.
In situazioni come quella appena descritta – cui oggi si aggiungono i casi in cui il soggetto non risponde ai requisiti di elevata qualificazione e specializzazione – potrebbe essere utile, invertendo il punto di vista, riflettere sulla possibile applicazione dell’art. 51, comma 8 bis del Tuir, conosciuto anche come il “regime delle retribuzioni convenzionali”.
Il regime delle retribuzioni convenzionali
Si tratta di un regime naturalmente applicabile ai lavoratori dipendenti fiscalmente residenti in Italia e che svolgono l’attività lavorativa all’estero, in via continuativa o esclusiva all’estero, secondo specifiche previsioni contrattuali. Il regime in parola non richiede che il lavoratore sia altamente qualificato o specializzato essendo sufficiente solo l’appartenenza ad uno dei settori economici previsti dal Ministero del Lavoro con decreto annuale.
Soddisfatti questi requisiti, da un punto di vista fiscale, i redditi da lavoro dipendente prodotti (all’estero) saranno soggetti a tassazione in Italia non sulla base dell’importo previsto dal contratto di lavoro ma sulla base dell’importo della retribuzione “convenzionale” stabilita nel medesimo decreto del Ministero del Lavoro.
Di fatto, quindi, l’art. 51, comma 8 bis del Tuir sembra speculare al Regime Impatriati avendo il fine di favorire il lavoratore fiscalmente residente in Italia per i redditi che derivano dal lavoro svolto in via prevalente o esclusiva all’estero.
La concreta applicazione del regime delle retribuzioni convenzionali richiede però un’attenta analisi di alcuni elementi che vanno dal concetto di “trasferta”, alla modalità specifica di calcolo dei giorni di permanenza all’estero ovvero in Italia. Il tema, su cui segnalano alcuni recenti interventi anche da parte dell’Agenzia delle Entrate (cfr. riposta ad interpello n. 428/2023) richiede di considerare anche quanto disposto dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni e, più in generale, dal Modello di Convenzione OCSE, rimanendo comunque necessaria una verifica caso per caso, anche nell’ambito di pianificazione prudente del rientro in Italia.
(Articolo scritto da Giada Mazzola, senior counsel dello studio Caldara e Associati)