Le parole di Messner sulla donazione e i figli ingrati
L’eco delle parole del grande alpinista Reinhold Messner, sulla donazione, è risuonata in tutti i maggiori mezzi di informazione: “Uno dei miei più grandi errori è stato lasciare ai miei figli la maggior parte del mio patrimonio prima di morire. Non capiscono che tutto è stato un dono e non apprezzano il valore della mia generosità… nel momento in cui ho distribuito la mia eredità materiale ai figli e alla moglie, la famiglia si è spezzata. Avevo quasi 75 anni. La domanda su chi avesse ricevuto di più era in primo piano nelle discussioni”.
Altrettanto clamore mediatico hanno riscosso alcuni commenti a tali dichiarazioni, tra i quali “Non fare mai donazioni in vita”; “i figli, se gli dai tutto prima di morire, poi se ne fregano di te e non ti assistono”; “meglio spendersi tutto negli alberghi di lusso e non lasciare nulla ai discendenti”.
L’Importanza della donazione in vita
Ora, non servirà certamente ricordare ai lettori di questa testata l’importanza della donazione in vita quale strumento di wealth planning e di pianificazione fiscale: si suppone che, vista la provenienza qualificata delle asserzioni sopra citate, si sia trattato di una provocazione, più che di una raccomandazione di natura legale.
Rimedi preventivi per scongiurare l’ingratitudine dei familiari beneficiari
Il caso offre tuttavia lo spunto per indagare se, in effetti, vi siano o meno rimedi per prevenire l’ingratitudine dei familiari beneficiari di donazioni in vita; o, successivamente, per reagire ad essa.
Obbligo di prestare alimenti (art. 437 c.c.)
Il primo “argine” all’eventuale ingratitudine è offerto dall’art. 437 c.c.: in base a tale norma il donatario è tenuto, con precedenza su ogni altro obbligato (ed entro i limiti del valore dei beni donati tuttora esistenti nel suo patrimonio), a prestare gli alimenti al donante che versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere da solo al proprio mantenimento.
Obbligo quindi che prevale su quello dato dall’art. 433 c.c.: il figlio beneficiario di una donazione sarà tenuto agli alimenti nei confronti del donante con precedenza sia sul coniuge che sul figlio non donatario.
Donazione modale (art. 793 c.c.)
Va poi considerata l’opportunità di utilizzare l’istituto della donazione modale, disciplinata dall’articolo 793 c.c.: il contratto di donazione conterrà quindi una previsione in base alla quale chi riceve il bene si impegnerà a svolgere una determinata attività (il “modus” o onere) in favore del donante. In tal modo, il donante potrà “costringere” il donatario, in cambio del bene donato, a prestare un’attività specifica, anche di natura assistenziale, a favore del donante o di terzi.
Rendita vitalizia
Un ulteriore strumento impiegabile, al fine di prevenire il rischio che i figli “abbandonino” il genitore che li ha beneficiati, è la rendita vitalizia: si tratta di un contratto con il quale, a fronte della ricezione di beni o capitali, un soggetto si obbliga a versare periodicamente al cedente una somma di denaro, per tutta la durata della vita di quest’ultimo. Questo può avvenire anche nella forma del vitalizio assistenziale (in cui il “vitaliziante” si impegna a prestare assistenza morale e spirituale, oltre che materiale).
Rimedi successivi all’ingratitudine
Accanto a rimedi per così dire “preventivi”, vi sono quelli “successivi”, il principale dei quali è la revocazione (art. 800 c.c.), in particolare la revocazione per ingratitudine (art. 801 c.c.).
I presupposti per invocarla, tuttavia, sono solo quelli tassativamente previsti dalla norma: la commissione di alcuni reati particolarmente gravi verso il donante (quelli previsti dagli artt. 1, 2 e 3 dell’art. 463 c.c.), la commissione di “ingiuria grave” nei confronti del donante, l’aver arrecato grave pregiudizio al suo patrimonio o l’avergli negato indebitamente gli alimenti dovuti ai sensi di legge.
Interpretazione del concetto di “ingiuria grave”
Il concetto di “ingiuria grave” è stato tuttavia interpretato dalla giurisprudenza in maniera estremamente restrittiva, più ancora rispetto all’omonima fattispecie di reato: è infatti richiesta la manifestazione di un durevole sentimento di disistima verso il donante, irrispettoso della sua dignità e contrastante con il senso di riconoscenza che dovrebbe invece improntare l’atteggiamento del donatario.
Annullamento del contratto di donazione
All’infuori della revocazione, una donazione potrà essere posta nel nulla nei casi – di altrettanto difficile verificazione – previsti per l’invalidazione del contratto, e quindi nullità o annullamento (per errore, violenza o dolo).
L’art. 787 c.c. prevede poi la possibilità di annullamento per errore sul motivo – unico – che ha spinto il donante a disporre, purché esso sia desumibile dall’atto: non deve, però, trattarsi di un motivo puramente soggettivo (come sulla valutazione dei sentimenti del beneficiario) e l’errore non deve derivare da un mutamento delle circostanze successivo all’atto.
Conclusioni
È certamente preferibile, quindi, per scongiurare il rischio di ingratitudine, utilizzare un rimedio “preventivo”: donazione modale, rendita vitalizia o, meglio ancora, il trust: in quest’ultimo caso, i beni non saranno attribuiti direttamente al soggetto che si ritiene di avvantaggiare, ma destinati in un fondo separato amministrato fiduciariamente, di cui lo stesso sia beneficiario.
Nell’atto istitutivo di trust il disponente potrà allora – ad esempio – prevedere che, nel caso in cui i beneficiari in futuro non gli dimostrino l’affetto, la vicinanza o la gratitudine che egli si attendeva, il trustee possa limitare – se non anche non anche, in casi particolarmente gravi, escludere – le loro spettanze.