Nelle comunicazioni rese alle Camere in vista Consiglio europeo del 29 e 30 giugno, Meloni ha sostenuto che i rialzi dei tassi siano una soluzione “semplicistica” contro l’inflazione
Nel caso della riforma del Mes, Meloni ha contestato che alcuni parametri di valutazione riprendano criteri del vecchio Patto di Stabilità, un modello che in questi mesi i governi europei puntano a superare con un’importante riforma
Recuperati parte dei toni del passato, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha espresso una forte critica nei confronti della politica monetaria della Bce e sulla riforma del Mes. Nelle comunicazioni rese alle Camere in vista Consiglio europeo del 29 e 30 giugno, Meloni ha sostenuto che i rialzi dei tassi siano una soluzione “semplicistica” contro l’inflazione e che le politiche di contenimento dei costi energetici, come il price cap, sarebbero soluzioni più efficaci e potenzialmente meno dannose per l’economia.
Nel caso della riforma del Mes, Meloni ha contestato che alcuni parametri di valutazione riprendano criteri del vecchio Patto di Stabilità, un modello che in questi mesi i governi europei puntano a superare con un’importante riforma. Il parlamento italiano è l’unico a non aver ancora ratificato la riforma del Mes, il fondo salva-stati. L’obiettivo di Meloni, dichiarato espressamente, consiste nel vincolare il via libera italiano alla riforma del Mes a una “logica di pacchetto”, che probabilmente implicherebbe concessioni alle posizioni italiane sulla riforma del Patto di Stabilità.
Quali sono le implicazioni della posizione del governo italiano sui tassi e sul Mes? Qual è la fondatezza delle affermazioni di Meloni? Proviamo a mettere ordine.
Tassi e inflazione: soluzione “semplicistica”
“E’ certamente giusto combattere [l’inflazione] con decisione”, ha dichiarato Meloni alla Camera, “ma la semplicistica ricetta dell’aumento dei tassi intrapresa dalla Banca centrale europea non appare agli occhi di molti la strada più corretta da perseguire, considerato che nei nostri Paesi l’aumento generalizzato dei prezzi non è figlio di una economia che cresce troppo velocemente ma di fattori endogeni, primo fra tutti la crisi energetica causata dal conflitto in Ucraina”.
L’inflazione nell’Eurozona cresce troppo per colpa degli aumenti energetici? Secondo un nuovo paper, presentato il 28 giugno all’Ecb Forum dal capo della ricerca del Fondo monetario internazionale, Pierre-Olivier Gourinchas, è proprio così. “Abbiamo concluso che la maggior parte dell’aumento nell’inflazione di fondo”, quella che esclude la componente energetica, “riflette la trasmissione dello choc subito dall’inflazione generale”, si legge nello studio.
Nel dettaglio, dei 5 punti di aumento totale nell’inflazione di fondo, osservata nell’Eurozona fra il gennaio 2021 e l’aprile 2023, ben 3,8 punti (due terzi) sono derivati dalla trasmissione dei costi (in primo luogo energetici) mentre solo 0,3 punti siano stati dovuti al mercato del lavoro caratterizzato da bassa disoccupazione e 0,4 punti dalle aspettative in aumento sul futuro andamento dell’inflazione. In sintesi: non è stata l’economia surriscaldata a far crescere l’inflazione di fondo su cui oggi i banchieri centrali si concentrano (e non solo, come ovvio, quella generale)
In questo momento la tesi della Banca centrale europea è che, per evitare che l’inflazione di fondo possa continuare fissarsi al di sopra dell’obiettivo del 2%, è necessario alzare i tassi d’interesse — il cui effetto collaterale è anche quello di raffreddare l’economia. Secondo Gourinchas, un’implicazione dello studio è che “la stretta della politica monetaria che raffredda la domanda, può ottenere potenzialmente maggiori riduzioni nell’inflazione in un’economia più surriscaldata”. Per il momento, l’inflazione europea non deriva da un’economia di questo tipo, nella quale ci sarebbe troppa domanda e una disoccupazione molto bassa.
Su quest’aspetto Meloni è allineata alle ultime posizioni accademiche in materia. Per quanto riguarda la ricetta da seguire in futuro non esistono elementi certi per dire chi abbia ragione. Per Lagarde i rischi di un’insufficiente stretta monetaria potrebbero cambiare il quadro attuale e contribuire a un’inflazione più persistente; per Meloni il maggiore rischio è che si uccida la crescita creando danni peggiori dell’inflazione.
“E’ probabilmente più utile concentrarsi, riteniamo, sulle cause specifiche che scatenano questa inflazione, proseguendo nelle misure di contenimento dei prezzi dell’energia e delle materie prime”, ha affermato la premier italiana.
Lo stesso studio del capo della ricerca del Fmi, ha sottolineato come questo genere di politiche, solitamente poco gradite in una gestione ortodossa dell’economia, si siano rivelate efficaci nell’Eurozona, nel moderare l’aumento dell’inflazione. O almeno, lo sono state fin qui. La posizione, reiterata da Lagarde il 28 giugno dal Forum di Sintra, è che per i governi “è arrivata l’ora di ridurre” i sostegni per calmierare i prezzi dell’energia. Questo perché si teme che, in prospettiva, aumentare il reddito disponibile delle famiglie possa spingere la domanda e produrre inflazione. Un effetto che, secondo lo studio di Gourinchas è più probabile che si osservi se l’economia è “già surriscaldata”, come in quella degli Stati Uniti.
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Mes la “logica di pacchetto” che cerca Meloni
“Non reputo utile all’Italia alimentare in questa fase una polemica interna su alcuni strumenti finanziari, come ad esempio il Mes”, ha affermato Meloni, forse anticipando il rinvio del voto parlamentare sulla ratifica della riforma del Mes. “L’interesse dell’Italia”, ha proseguito Meloni, “oggi è affrontare il negoziato sulla nuova governance europea con un approccio a pacchetto, nel quale le regole del patto di stabilità, il completamento dell’Unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia finanziaria si discutano nel loro complesso, nel rispetto del nostro interesse nazionale”.
La strategia del governo italiano, dunque, è quella di vincolare l’ultimo decisivo voto di ratifica per la riforma del Mes a un negoziato più ampio che includa anche la riforma sul Patto di stabilità. Una questione “di metodo”, secondo la stessa Meloni, che non ha più criticato nel merito i contenuti della riforma del Mes, un tempo definita come “alto tradimento”. Come sostenuto oltre un mese fa da We Wealth, la presenza del Mes rappresenta un argine alla speculazione sui debiti pubblici che può proteggere e contribuire a contenere i rendimenti dei Btp; una posizione poi ripetuta da una relazione tecnica preparata dallo stesso ministero dell’Economia.
La critica avanzata da Meloni è che “il meccanismo europeo di stabilità richiama i parametri del precedente Patto di stabilità al suo interno”. E’ davvero così? In una sua parte è così. Nel testo della riforma del trattato sul Mes il Patto di stabilità viene nominato una sola volta, richiamando in modo generico il suo rispetto. I parametri cui Meloni fa riferimento sono quelli indicati nell’allegato III, che esplicitano a quali condizioni un Paese possa accedere ai finanziamenti del Mes senza dover concordare con quest’ultimo un memorandum (ossia, negoziare un programma di riforme). I parametri numerici sono quelli del trattato di Maastricht (deficit al 3% e 60% di rapporto debito Pil), meno uno: il livello di saldo strutturale “che in condizioni cicliche normali offre un margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3%”. Senza entrare troppo nel dettaglio, si tratta di un parametro utilizzato nel Patto di Stabilità (per il calcolo dell’Mto) che potrebbe essere mantenuto, o riformato nella sua nuova versione.
Secondo Meloni, non sarebbe coerente “ratificare un trattato che prevede i vecchi Parametri del patto di stabilità: temo che sia uno dei tanti elementi che dimostrano come le cose vanno valutate nella loro interezza”. Anche in presenza di concessioni all’Italia sulla riforma del nuovo Patto di stabilità, ottenute tergiversando sulla ratifica del Mes, non sarebbero comunque oggetto di modifica le condizioni della riforma del Mes stesso – il cui negoziato si è concluso, con l’ok del governo giallorosso, nel 2020.