Molti dei siti web, delle applicazioni e degli strumenti che oggi utilizziamo quotidianamente, anche nel mondo dell’arte, nascono da piccole imprese che, leggende vogliono, abbiano origine all’interno di angusti garage nello stile di Steve Jobs per Apple, oppure dal disordine di scrivanie alla Jeff Bezos di Amazon. Guidate da visionari fondatori, queste startup cercano di dimostrare, in piccolo, il corretto e inedito funzionamento della propria idea imprenditoriale affinché, grazie al supporto di fondi di investimento e dei business angel, possano accelerare il loro percorso di crescita ed internazionalizzazione.
Tuttavia la strada è lunga e complessa. Le statistiche evidenziano un tasso di fallimento pari al 96%: in pratica 9 startup su 10 non superano il terzo anno di vita, ma quelle che ci riescono mediamente ripagano le perdite di tutte le altre. Ma veniamo all’arte dove molte startup, soprattutto extra-settore, vengono attratte dai grandi numeri e dai valori intrinseci come il bello, il lusso e l’esclusività, caratteristiche che sulla carta diventano un facile richiamo per far brillare i propri modelli di business per individuare, in questo modo, utenti facoltosi.
Ancora la realtà è cosa ben diversa. Infatti le regole e le dinamiche non scritte, insieme all’opacità delle informazioni che contraddistinguono il mercato dell’arte, sono il primo vero ostacolo per gli outsider che spesso non sanno bene come muoversi all’interno di questo affascinante ma complesso mondo, grande nei numeri ma “piccolo” nelle modalità operative e nelle persone che lo governano.
Dietro ogni startup c’è una visione, come nel mio caso con Art Rights, con l’obiettivo di supportare l’arte, gli artisti e i professionisti con il supporto delle nuove tecnologie legate alla gestione, certificazione e autentica delle opere d’arte contro il mercato dei falsi. Arte e innovazione tecnologica, un binomio che potrebbe suonare come un ossimoro certo, ma è anche vero che una startup opera quasi sempre in settori inesplorati, altamente rischiosi, contraddistinti da repentine evoluzioni; come dimostrato dall’accelerata verso la digitalizzazione dell’arte a causa del coronavirus.
È pur vero che appena dieci anni fa nessuno poteva pensare di salire su automobili senza licenza taxi o noleggio con conducente; adesso la sharing economy ha permesso la nascita di realtà come Airbnb e Uber, vere e proprie visioni, nate come piccole imprese innovative e diventate competitor globali. Per questo, anche il mondo dell’arte ha bisogno di innovarsi e di investitori pronti a cogliere le nuove visioni per supportare il cambiamento.
Mario Mariani, partner di United Venture, uno dei fondi di investimento più grandi in Italia con oltre 120 milioni di euro investiti in startup, ritiene che ‘‘gli artisti e gli operatori di settore non possono sottovalutare quello che sta accadendo. È successo nel mondo della finanza, nel mondo dei media, nel retail… Il digitale trasformerà anche il mondo dell’arte”. Per i collezionisti e gli appassionati, investire in startup dell’arte potrebbe essere una grande occasione per differenziare il proprio asset patrimoniale.
Condividere le proprie conoscenze, competenze e network a favore di un team motivato, diventando un vero e proprio business angel, apre una dimensione del tutto nuova e permette di essere parte attiva di una piccola, ma redditizia, rivoluzione del settore.
Qualora non bastassero i capitali privati, entrano in campo anche i fondi di investimento statali come Cassa Depositi e Prestiti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con i programmi AccelerORA e Seed per il sud in cui duplicano e triplicano gli investimenti privati in startup fino ad un massimo di 300.000 euro a supporto dello sviluppo ed internazionalizzazione delle startup.
Ma la fase di crescita è costosa si sa, ed ecco quindi che arriva anche Invitalia, Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, a supportare gli investimenti con programmi dedicati all’arte come Cultura Crea, o Resto al sud e Smart&Start Italia con finanziamenti contro garantiti e a fondo perduto. Fare impresa nell’arte è complesso, ma è anche una grande opportunità di investimento, guadagno ma soprattutto di evoluzione e cambiamento di un settore ancora oggi poco digitalizzato.