L’Agenzia delle Entrate ha recentemente fornito delle indicazioni interessanti riguardo al trattamento fiscale dei cosiddetti lavoratori impatriati, ovvero coloro che rientrano in Italia dopo un periodo di lavoro all’estero.
Questo chiarimento è stato dato in risposta all’interpello n. 41 del 2025, concernente l’applicazione del nuovo regime agevolativo previsto dall’articolo 5 del decreto legislativo del 27 dicembre 2023, n. 209.
Il Contesto dell’Interpello
Un contribuente, prossimo al rientro in Italia nel gennaio 2025, ha sollevato una questione riguardante la sua eventuale idoneità a beneficiare del regime agevolativo per i lavoratori impatriati.
In particolare, il contribuente in questione segnala all’Agenzia che, dopo aver trascorso sei anni all’estero, ha intenzione di tornare a lavorare per un’azienda italiana per la quale aveva già prestato servizio tra il 2015 e il 2016.
In questo senso, chiede all’Agenzia se il ritorno presso lo stesso datore di lavoro – non immediatamente prima del suo trasferimento all’estero – possa influenzare in negativo i requisiti necessari per accedere agli incentivi fiscali previsti dal nuovo regime.
Risposta dell’Agenzia e implicazioni del caso di specie
La normativa sugli impatriati, entrata in vigore il 29 dicembre 2023, stabilisce che
i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i redditi di lavoro autonomo derivanti dall’esercizio di arti e professioni prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello, entro il limite annuo di 600.000 euro, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50 per cento del loro ammontare al ricorrere delle seguenti condizioni:
se i lavoratori che intendono accedere al regime:
- Si impegnano a risiedere fiscalmente in Italia per un periodo determinato.
- Non sono stati residenti fiscali in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti al loro trasferimento.
- Se l’attività lavorativa è prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato
- Se i lavoratori sono in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
- Hanno o meno lavorato all’estero per lo stesso gruppo aziendale o per lo stesso datore di lavoro per cui intendono lavorare al loro ritorno.
In effetti, come mette in evidenza lo stesso contribuente, è importante comprendere se il lavoratore che intende tornare in Italia lavorerà o meno per la stessa azienda, in quanto questa circostanza incide sul periodo minimo di residenza all’estero richiesto.
A tal riguardo, spiega l’Agenzia:
- Se il lavoratore non era precedentemente impiegato in Italia per lo stesso gruppo, il periodo minimo di residenza all’estero richiesto è di sei anni.
- Se invece era impiegato in Italia per lo stesso gruppo, il periodo richiesto si estende a sette anni.
Invero, in relazione al caso specifico trattato dall’Agenzia, l’Istante rientrerebbe nel primo scenario: il periodo minimo di residenza all’estero, pertanto, è di sei anni. Questo perché, al momento del suo rientro, lavorerà per la stessa società per cui aveva lavorato fino al 2016, e non per il datore di lavoro immediatamente precedente al trasferimento all’estero.
Conclusioni
Questo chiarimento dell’Agenzia delle Entrate è importante per tutti coloro che stanno considerando di rientrare in Italia e desiderano capire le implicazioni fiscali legate al loro impiego precedente e futuro. Infatti, al di là dei dettagli specifici del caso di specie, ciò che emerge è che si tratta di un regime vantaggioso che tuttavia richiede una specifica valutazione e consulenza per comprendere in che modo i periodi di residenza all’estero e i legami con i datori di lavoro precedenti influenzino l’accesso ai benefici fiscali.