Nel corso dell’ultimo decennio, il legislatore italiano ha progressivamente ampliato e consolidato il sistema delle agevolazioni fiscali, con l’obiettivo di attrarre capitale umano qualificato. In questo contesto, un’attenzione particolare è stata riservata al regime fiscale agevolato per favorire il “rientro dei cervelli” in Italia, pensato per incentivare il trasferimento di lavoratori altamente qualificati.
Il recente decreto attuativo della legge delega fiscale ha introdotto modifiche significative al regime degli impatriati, prevedendo nuove misure di vantaggio fiscale per i lavoratori che decidono di trasferire la loro residenza nel nostro Paese. In questo articolo, analizzeremo le principali novità e differenze tra il vecchio e il nuovo regime fiscale per gli impatriati, evidenziando gli aspetti fondamentali e i cambiamenti più rilevanti.
Impatriati: una comparazione tra il vecchio e il nuovo regime
Nel luglio scorso è scaduto il termine per poter usufruire della proroga del regime fiscale agevolativo previsto per i cosiddetti “vecchi impatriati”. Si tratta di quei lavoratori che hanno trasferito la residenza fiscale in Italia nel 2019, con la possibilità di beneficiare delle agevolazioni fiscali per i successivi cinque anni.
Coloro che hanno aderito alla proroga potranno continuare a fruire delle condizioni previste dal vecchio regime a partire dal 1° gennaio 2025. Ma come era strutturata la disciplina precedente?
In generale, il vecchio regime mirava ad attrarre soggetti qualificati in Italia. Il regime agevolato era riservato ai lavoratori con alta qualificazione o specializzazione, o che ricoprivano ruoli direttivi, e che non risultassero residenti in Italia nei cinque anni precedenti. I benefici erano stati concessi a questi soggetti sulla base di tre principali requisiti:
1. non essere stati residenti in Italia nei due anni fiscali precedenti il trasferimento.
2. impegnarsi a risiedere in Italia per almeno i successivi due anni.
3. svolgere l’attività lavorativa prevalentemente in Italia.
Al rispetto di questi requisiti, i lavoratori potevano beneficiare di una significativa riduzione della tassazione sui redditi di lavoro dipendente, assimilato e autonomo prodotti in Italia per l’anno del trasferimento e per i successivi quattro anni.
In particolare:
• Il reddito prodotto in Italia concorreva al reddito complessivo solo al 30% dell’ammontare.
• Per i lavoratori che si trasferivano in alcune regioni del Sud Italia (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia), la detassazione era più favorevole, riducendo il reddito tassato al 10%.
• Inoltre, i benefici potevano essere estesi per altri cinque anni in caso di figli minorenni a carico o di acquisto di un’unità immobiliare residenziale in Italia.
Il nuovo regime per gli impatriati
Con l’introduzione del Decreto Legislativo n. 209/2023, il regime di tassazione agevolata per i lavoratori che trasferiscono la residenza fiscale in Italia è stato modificato, con effetti a partire dal periodo d’imposta 2024.
Anche il nuovo regime prevede vantaggi fiscali, ma con delle novità significative. I lavoratori qualificati che trasferiscono la residenza in Italia potranno beneficiare di una riduzione delle imposte su parte dei redditi prodotti nel nostro Paese, ma solo per una frazione del reddito complessivo.
In particolare, i redditi di lavoro dipendente, assimilato e lavoro autonomo derivanti dall’esercizio di arti e professioni prodotti in Italia concorreranno alla formazione del reddito complessivo per il 50% dell’ammontare, con un limite annuo di 600.000 euro.
Per accedere a questo regime, i lavoratori dovranno:
- Impegnarsi a risiedere fiscalmente in Italia per almeno quattro anni.
- Non essere stati residenti fiscalmente in Italia nei tre anni precedenti il trasferimento.
- Svolgere attività lavorativa principalmente in Italia.
Possedere una qualificazione professionale elevata.
In caso di trasferimento della residenza fiscale mantenendo lo stesso rapporto di lavoro, i requisiti minimi di permanenza all’estero sono i seguenti:
• 6 periodi d’imposta se il lavoratore non è stato impiegato in Italia prima con lo stesso datore di lavoro o nel medesimo gruppo.
• 7 periodi d’imposta se il lavoratore è stato impiegato in Italia prima con lo stesso datore di lavoro o gruppo.
Cosa cambia tra il precedente e il nuovo regime?
Le principali modifiche introdotte dal nuovo regime sono le seguenti:
• Riduzione della misura agevolativa: il precedente regime prevedeva una detassazione del 70% dei redditi, mentre ora la detassazione è ridotta al 50%.
• Scomparsa delle estensioni quinquennali e della “super agevolazione” per il Sud Italia.
• Limite quantitativo: il reddito agevolabile è limitato a 600.000 euro annui.
• Aumento dei periodi di non residenza: i periodi richiesti per non essere stati residenti in Italia passano da due a tre anni.
• Impegno di residenza: il periodo di residenza richiesto per fruire del regime è esteso da due a quattro anni.
• Requisiti professionali: il nuovo regime torna a richiedere la qualificazione professionale elevata, un aspetto che potrebbe generare problematiche interpretative, già emerse con il regime precedente al 2019.
Conclusioni
In sintesi, il nuovo regime fiscale per gli impatriati, pur mantenendo alcuni vantaggi fiscali, riduce l’ampiezza dell’agevolazione e impone requisiti più stringenti. Nonostante le modifiche, il nuovo regime continua a rappresentare un’opportunità per attrarre professionisti qualificati in Italia, ma con una portata meno favorevole rispetto al passato.