D’altra parte, proprio con l’ultimo decreto rilancio, si è voluto contrapporre alla chiusura temporanea delle attività, il credito di imposta pari al 60% del canone versato, con ciò dando un aiuto al conduttore per riequilibrare l’asserito, o potenziale, squilibrio del peso delle prestazioni dedotte nel contratto, il godimento dell’immobile contro il pagamento del canone.
Per altro verso, e a conferma della verosimile fondatezza di quanto si sostiene, è sufficiente rilevare che al locatore nulla è stato riconosciuto in termini di benefici fiscali a fronte del mancato pagamento del canone, se non quanto previsto dall’art. 26 del Tuir, laddove nulla è cambiato, soprattutto per le locazioni commerciali, se si pensa che i canoni di locazione non percepiti devono essere sempre e comunque dichiarati, a meno che non si dimostri che sia intervenuta la cessazione del contratto di locazione; le imposte versate per i canoni non percepiti non possono essere recuperate sotto forma di credito d’imposta, ma possono essere messe, al massimo a perdita quando si prova che si è tentato di recuperarli attraverso decreti ingiuntivi, pignoramenti e sfratti.
Pertanto, una sospensione del pagamento dei canoni avrebbe provocato un danno solo in capo ai locatori, i quali oltretutto non avrebbero avuto la disponibilità del bene perché comunque nella detenzione dei conduttori.
Non solo, ma l’unica norma sostanziale riferita a tutti i contratti e non anche o solo a quelli di locazione, di cui non vi è comunque alcun richiamo agli affitti, pare limiti la responsabilità del debitore per le conseguenze degli inadempimenti alla luce dell’emergenza covid 19, che fondamentalmente verrà valutata caso per caso, non generando il benché minimo automatismo.
Prevedere che «Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c. della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti» pare sia ispirata a regolare una causa emergenziale di giustificazione temporanea, definita come una sorta di immunità sulle responsabilità conseguenti all’inadempimento, destinata a cessare con la fine dell’emergenza. Nulla quindi sul piano delle singole prestazioni che rimangono tali.
Rimane poi il fatto che il debitore per invocare l’esimente in punto responsabilità dovrà comunque dimostrare che l’inadempimento è imputabile al dover rispettare le misure di contenimento dell’emergenza covid.
Ciò posto, se le posizioni, ossia quelle dei conduttori, ma anche quelle dei locatori, si arroccassero nella speranza di trovare giustizia, ossia si volesse procedere per la risoluzione del rapporto, al proprietario non rimarrebbe che l’ipotesi di notificare lo sfratto per morosità, anche se non pare essere una soluzione costruttiva, oppure al conduttore quella di recedere dal contratto.
L’art. 27 della L.392/1978 riconosce, infatti, al conduttore indipendentemente dalle previsioni contrattuali e «quando ricorrano gravi motivi» di recedere dal contratto, dando il preavviso di sei mesi.
Altre soluzioni, come quella di trincerarsi dietro forme di manutenzione del contratto, come gli artt. 1583 e 1584 c.c. in forza del quale il conduttore, privato del godimento di parte del bene, può invocare la «riduzione del corrispettivo proporzionale all’entità del mancato godimento», pare non sia percorribile, perché, da un lato, superato dall’aiuto al conduttore con il credito di imposta di cui agli ultimi due decreti, dall’altro lato, non adeguato perché circoscritto ad un periodo specifico del rapporto locativo.
Peraltro il sinallagma degli obblighi delle parti, far godere l’immobile da parte del locatore, pagare il canone da parte del conduttore, non si è certo alterato e tanto meno può essere contestata dal conduttore la mancata disponibilità dell’immobile ovvero invocata l’impossibilità di pagare ossia corrispondere una somma di denaro, prestazione sempre possibile, semmai resa più pesante o difficile dalla contingenza emergenziale.
Se i provvedimenti legislativi recentemente adottati hanno previsto un credito di imposta, vuol dire che il rimedio per la fase del lockdown è questa e non ve ne possono essere altre.
Questo spiega il motivo per il quale i rimedi risolutori dell’impossibilità sopravvenuta, ovvero dell’eccessiva onerosità non possono essere invocati, in primis, perchè rimedi che portano alla risoluzione del contratto, cosa che nella maggior parte dei casi, nessun conduttore lo vorrebbe, e poi comunque perché il blocco dei decreti ha riguardato le attività e non le prestazioni delle parti dedotte nel contratto e poi comunque, e per fortuna, non tutti hanno interrotto i pagamenti.
Se l’emergenza covid integrasse la forza maggiore allora paradossalmente bisognerebbe restituire i canoni a chi inavvertitamente ha provveduto a pagarli.
Anche l’eccessiva onerosità non pare possa invocarsi poiché nell’interpretazione offerta all’art. 1467 c.c., il rimedio richiederebbe una oggettiva esplosione del valore della prestazione in tutta la sua durata ovvero un’altrettanta esplosione dei costi della prestazione da eseguire.
Nelle locazioni il canone è rimasto inalterato, il bene è sempre quello, è semmai cambiato il modo di svolgimento dell’attività.
In altre parole, se venisse accolta la domanda volta a risolvere il contratto per eccessiva onerosità, si arriverebbe all’assurdo di far partecipare al rischio di impresa il locatore.
In questa logica, allora si dovrebbe ammettere che un aumento esponenziale dell’Imu, che sappiamo essere particolarmente pesante per gli immobili ad uso commerciale. dovrebbe legittimare il locatore a risolvere il contratto per eccessiva “irrisorietà” del canone precedentemente pattuito, cosa non verosimile.
Si è anche parlato del principio costituzionale della solidarietà sociale ex art. 2 cost, esplicitato a livello contrattuale attraverso il principio di buona fede e correttezza ex art. 1375 c,c,, ma tale principio dovrebbe essere osservato, non solo da parte del creditore-locatore, ma anche da parte del debitore-conduttore.
In altre parole, se l’attività esplodesse a tal punto da generare fatturati impensabili anche a causa del luogo dell’immobile, ad esempio, per l’apertura limitrofa di un centro di attrazione, il conduttore accetterebbe di modificare al rialzo il canone concordato? Difficile anche solo pensarlo. Si sono visti sporadici provvedimenti cautelari (Venezia e Rimini) apparentemente favorevoli agli affittuari; in realtà, si tratta per lo più di fattispecie di contratti d’affitto d’azienda con importi di canoni particolarmente rilevanti, nelle quali è stato ordinato provvisoriamente di non incassare gli assegni consegnati a garanzia dell’affitto d’azienda, provvedimenti che devono, non solo trovare conferma nella fase cautelare, ma addirittura dovranno essere ridiscussi nella futura causa di merito.
Peraltro, tali provvedimenti sono stati confutati da una recentissima pronuncia del tribunale di Milano (10.6.2020) che non ha sospeso al locatore la possibilità di escutere la fideiussione prestata dal conduttore a garanzia del versamento dei canoni.
Anche la recente circolare n.14/E del 6.6.2020, nulla ha modificato circa le possibili interpretazioni più sopra prospettate, confermando il beneficio del credito di imposta a fronte del pagamento del canone, e prevedendo, semmai, nell’ipotesi in cui il versamento non fosse ancora avvenuto, la possibilità di cedere il credito di imposta al locatore, ma previo pagamento della differenza.
In conclusione, non appare fondato cancellare o almeno sospendere il pagamento del canone senza la restituzione dei locali in quanto vorrebbe dire addossare il rischio di impresa e non solo, a carico del locatore, oltretutto per un fatto sicuramente a lui non imputabile.
Non rimane che auspicare, nei casi assolutamente isolati, il ricorso alla rinegoziazione amichevole del contratto usufruendo dell’agevolazione di cui all’art. 19 del Dl n. 133/2014, laddove viene precisato che “La registrazione dell’atto con il quale le parti dispongono esclusivamente la riduzione del canone di un contratto di locazione ancora in essere, è esente dalle imposte di registro e di bollo”.
Ciò permetterebbe al proprietario di dichiarare il canone inferiore, ma presumibilmente pagato dal conduttore, pagando le tasse su tale nuovo importo, e, a quest’ultimo, di portare avanti l’attività in quei locali superando il periodo di crisi. Rimane tuttavia il dubbio sull’efficacia di questa soluzione, che sarebbe definitiva, a fronte, lo si spera, di un’emergenza assolutamente temporanea.