Per il 94% degli italiani la robotica e l’intelligenza artificiale hanno permesso di raggiungere risultati impensabili
L’89% sostiene che i nuovi sistemi non potranno mai sostituire completamente l’intervento degli esseri umani
I giovani con un’età inferiore ai 35 anni, un elevato titolo di studio e residenti nel Sud e nelle isole, sono i più ottimisti
I più ottimisti sono i giovani: gli italiani 4.0
A trainare le spinte ottimistiche sono soprattutto i giovani con un’età inferiore ai 35 anni, un elevato titolo di studio, e residenti nel meridione e nelle isole. È la fotografia di quello che Doxa definisce “l’italiano 4.0”, un individuo interessato e competente, che appartiene alla classe dirigente e ha le migliori conoscenze nel campo dell’intelligenza artificiale e della robotica. Il titolo di studio, in particolare, sembra essere l’aspetto più incisivo: il 95% degli individui con una scolarità elevata e il 90% degli individui con una scolarità medio-bassa condividono un sentiment positivo nei confronti dei nuovi sistemi.
Una demarcazione altrettanto netta se si considera la misura d’uso delle tecnologie, che separa il 94% degli utilizzatori ottimisti dal 38% dei non-utilizzatori pessimisti. In particolare, si tratta prevalentemente anche in questo caso di giovani, ben formati, dirigenti e white collar che, nel 90% dei casi, stima positivamente l’esperienza con robot e sistemi di intelligenza artificiale.
Una questione di etica e competenze
“Per cogliere le opportunità e governare le criticità della rivoluzione tecnologica in atto dovremmo puntare perlomeno, ma non solo, su due capisaldi su cui far leva: l’etica e le competenze”, commenta Isabella Covili Faggioli, presidente dell’Associazione Italiana per la Direzione del Personale. Secondo la Faggioli, bisogna dunque riaffermare una visione del progresso che si focalizzi sulla centralità dell’essere umano e la correttezza nella sua valorizzazione. Inoltre, in un mercato del lavoro ormai altrettanto 4.0, bisogna sviluppare le giuste e adeguate competenze umane e tecniche per evitare di restare ai margini.
“Ciò che contraddistingue il modello organizzativo che si va delineando, non è la presenza di robot all’interno dell’azienda, ma l’ingresso sempre più veloce di macchinari dotati di intelligenza artificiale, in grado non solo di pensare sulla base degli insegnamenti ricevuti dai propri programmatori, ma di evolvere in un processo di continuo apprendimento – aggiunge Francesco Rotondi, giuslavorista e founder di LabLaw – Questo processo è destinato a mutare radicalmente il rapporto tra uomo e macchina e ad avere un impatto enorme sui modelli organizzativi aziendali. L’implementazione di questa rivoluzione sarà un tema non solo normativo, ma anche contrattuale”.