Biodiversità, la nuova frontiera dell’investimento sostenibile?

CANDRIAM
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25.11.2022
Tempo di lettura: 3'
Gli ecosistemi naturali stanno collassando: gli investitori avranno un ruolo centrale nel proteggerli, così come tutti gli esseri umani: per la loro stessa salvezza è necessario restituire quello che è stato sottratto dalla Terra

Per coloro che hanno a cuore il nostro pianeta e la sua sopravvivenza sono diverse le ragioni per cui preoccuparsi. Dopo l’impronta di carbonio e il cambiamento climatico, il nuovo tema da trattare è quello della “biodiversità” o, più precisamente, i disastri causati dal suo deterioramento.


In questo contesto offriamo alcune chiavi di interpretazione per capire i dettagli di questa sfida.

  • Nella pratica, a che punto ci troviamo?
  • Quali sono le principali cause della perdita di biodiversità?
  • Come possiamo misurare la perdita di biodiversità?
  • Quali sono i rischi e quali le opportunità?


La biodiversità che contraddistingue il nostro pianeta – quindi la varietà di specie di animali e piante – sta collassando. Sta crollando, in media, decine di centinaia di volte più rapidamente di quanto non abbia fatto negli ultimi 10 milioni di anni. E il ritmo continua ad accelerare. La flora e la fauna sono i motori di ogni ecosistema che garantisce civiltà, grazie all’acqua potabile, all’aria ricca di ossigeno e ai cibi nutritivi.


Al 28 di giugno (Earth overshoot day nel 2022), gli esseri umani hanno consumato (impatto ambientale) tutte le risorse che la Terra può generare in un anno (biocapacità).

Secondo il Global Risks Report del 2022 del World Economic Forum, la perdita di biodiversità è uno dei top tre rischi in termini di probabilità e impatto nei prossimi 10 anni.




Il cambiamento climatico è solo l’inizio

Finalmente, l’industria sta iniziando a padroneggiare il linguaggio del cambiamento climatico e dispone di uno strumento adatto, in grado di guidare un flusso da migliaia di miliardi di dollari di capitale. Non ci sono dubbi sul fatto che bloccare il cambiamento climatico sia oggi la priorità. Raggiungere la neutralità carbonica rappresenta la migliore possibilità di preservare le condizioni di vita per i nostri figli e per tutte le altre creature che vivono nel nostro pianeta.

Proteggere la biodiversità senza fronteggiare adeguatamente il cambiamento climatico, sarebbe quindi impossibile, oltre che non abbastanza. Per prendersi cura della biodiversità, riportando la Terra a uno stato di salute, vi è bisogno di un impegno maggiore, di una nuova struttura che sia efficace e in grado di affrontare i fattori chiave che hanno portato alla sua distruzione, come l’inquinamento, la deforestazione e lo sfruttamento della fauna terrestre e marina.

La portata di questa sfida è enorme: l’attività umana ha avuto delle conseguenze dirette, causando pandemie, disastri naturali, carestie e siccità, che hanno causato la morte di molte specie. Tra le altre:

Sfruttamento di terra e mare: questa è la causa principale della perdita di biodiversità. Include la conversione del terreno per scopi agricoli o edili, i quali portano alla degradazione del suolo, alla deforestazione e a cambiamenti nocivi, e spesso irreparabili, per l’ecosistema.

Sfruttamento diretto: si tratta di un altro fattore molto importante, che si riferisce al sovrasfruttamento delle risorse animali e vegetali per il consumo umano. Gran parte di queste sono utilizzate per la produzione di cibo e legname.

Cambiamento climatico: questo fattore molto significativo è collegato direttamente alla biodiversità e ha la capacità di infliggere cambiamenti irreversibili all’ecosistema o di distruggerlo completamente.

Inquinamento: questo deriva da una grande varietà di fonti, come le industrie, i mezzi di trasporto e la crescita dei consumi, che contaminano l’aria, l’acqua e il suolo.

Specie invasive e malattie: questo fattore sta diventando di primaria importanza. Le specie invasive possono danneggiare gli ecosistemi, alterando le catene alimentari e introducendo nuove malattie, che costituiscono un rischio immediato per gli animali utilizzati per la produzione di cibo. In alcuni casi, le specie invasive possono passare le loro infezioni anche agli individui.




Cambiamento climatico e perdita di biodiversità: l’esempio del permafrost

Circa 2,5 milioni di metri quadri di permafrost, il 40% della superfice globale della Terra, potrebbe scomparire entro la fine del secolo, secondo una ricerca recente. Il discoglimento rilascerà un altissimo volume di gas effetto serra nell’aria, che include metano, anidride carbonica, ossido di azoto e patogeni che sono rimasti bloccati all’interno per secoli. Questo processo sta già causando numerose frane e slavine a un ritmo preoccupante, le quali determinano il cambiamento dei flussi dei torrenti, l’improvviso prosciugamento di laghi, il cedimento delle coste e il cambiamento chimico dell’acqua, fattore molto rischioso e deleterio per gli esseri umani e la fauna selvatica. In ogni parte dell’Artico, che sta diventando sempre più caldo, sempre più arbusti hanno iniziato a occupare la tundra, dove, un tempo, prevalevano erbe, ciperacee e licheni.

Le alte siepi non solo fanno ombra sulle piante più piccole, ma stanno anche trasformando l’idrologia dell’ecosistema. Nelle regioni della tundra dominate dagli arbusti, come la betulla nana, la neve tende a sciogliersi una settimana prima rispetto alle altre zone in cui questi non sono presenti. Questo causa un maggior decongelamento del permafrost, che accelera il processo di surriscaldamento globale.


Il costo di non fare nulla

Circa metà del Prodotto interno lordo globale (44mila miliardi di dollari americani) è fortemente dipendente dalla natura. Tre settori principali, in particolare, generano circa 8mila miliardi di dollari americani di valore aggiunto lordo: l’agricoltura (4mila miliardi di dollari), l’edilizia (2,5mila miliardi), e il comparto del cibo e delle bevande (1,4mila miliardi). Questo rappresenta circa il doppio dell’economia tedesca.

Secondo uno studio del WWF del 2020, il declino degli asset naturali costerà al mondo almeno 368miliardi di sterline all’anno, che sommati arriveranno a essere circa 8mila miliardi di sterline entro il 2050, circa l’equivalente alle economie inglesi, francesi e brasiliane unite.


Considerando che, al momento, prendiamo dall’ecosistema circa 1,6 volte quello che produce e sarà in grado di rigenerare in 11 anni, non manca troppo prima che la decimazione delle risorse inizierà a causare gravi problemi a interi settori.

Per quanto riguarda gli ecosistemi, alcuni punti di non ritorno sono già stati sorpassati, come la disponibilità di acqua incontaminata. Una volta che un punto di non ritorno è stato raggiunto, ci si aspetta che entro 50 anni un ampio ecosistema sarà destinato a collassare.


Quantificare l’obiettivo: che indicatore usare?

Per avere un impatto reale, dobbiamo utilizzare un approccio preciso, che possa essere applicato sistematicamente in diversi settori e zone geografiche, da imprese e investitori. Una grande domanda, che continua ad essere aperta, è come misurare l’impatto delle aziende e la loro dipendenza dalla natura.

Nel caso del cambiamento climatico, il volume delle emissioni di carbonio è stato identificato come il fattore principale da considerare per misurare l’impatto. Nel caso della biodiversità, invece, la situazione è molto complessa. La perdita di biodiversità dipende da una moltitudine di singoli fattori: l’importanza e la composizione di questi cambierà, ad esempio, dal tipo di impresa, dal settore o dalla posizione geografica. È altamente improbabile che la scienza riuscirà a trovare un fattore “magico” in grado di fare la differenza.

In ogni caso, una struttura di analisi adatta dovrà far riferimento al concetto di doppia materialità. Questo significa analizzare gli impatti finanziari che la perdita di biodiversità avrà sulle imprese, in termini di performance e sviluppo, ma anche l’impatto che le aziende stesse hanno sulla biodiversità (impatto ambientale e sociale).Solo un’analisi così completa permetterà di capire e misurare rischi e opportunità.

La mancanza di un indicatore appropriato e misurabile per la biodiversità (come il calcolo delle emissioni per il cambiamento climatico), rappresenta il maggiore ostacolo per considerare la biodiversità nelle scelte di investimento.


Biodiversità, due report fondamentali

Stern Review sul clima

Questo report di 700 pagine è stato pubblicato dal governo inglese nel 2006 e diretto dall’economista Nicholas Stern, il quale è stato il primo a quantificare il costo del cambiamento climatico e presentare una prospettiva economica al riguardo. Il risultato è stato che tagliare le emissioni al range di 450-550 parti per milione, costerebbe l’1% del Pil globale ogni anno, mentre ignorare il cambiamento climatico potrebbe causare un danno economico nell’ordine del 20% del Pil.


Dasguta Review sulla biodiversità

Nel 2021, il governo inglese ha portato avanti il progetto della Stern Review, avendo come punto di riferimento l’impatto economico della biodiversità, con la Dasgupta Review, diretta dal professor Sir Partha Dasgupta. La conclusione è che il cuore del problema sta nel fallimento istituzionale, che è un fenomeno profondamente radicato e capillare. Il valore che la natura ha nella società non viene riflesso nei prezzi del mercato perché gran parte di questo non è aperto a costi economici. Queste distorsioni ci hanno portato a investire di più in altri asset, come il prodotto in plusvalenze, e a sotto investire in asset naturali. Il report evidenzia il fatto che i governi investono di più nella distruzione di risorse naturali, piuttosto che nella loro protezione. Le sovvenzioni del governo stanno danneggiando la natura, a livello globale, per una somma tra 4 e i 6mila miliardi di dollari all’anno.


Tre tipi di rischi per le imprese

Sono tre le insidie principali che le aziende devono fronteggiare, a prescindere dal settore e dall’attività: fisica, transazionale e sistematica.

  1. Rischio fisico: si riferisce ai cambiamenti fisici del pianeta che dipendono dalla perdita di natura, come il fatto che oggi più di un milione di specie sono a rischio di estinzione. Ad esempio, se la popolazione di api fosse ridotta o eliminata, questo metterebbe a rischio coltivazioni per oltre 50miliardi di dollari, dal momento che, senza impollinazione, i semi non possono crescere. Questo è solo un esempio dell’impatto di un rischio fisico cronico, mentre un esempio di rischio fisico acuto sarebbe l’invasione di locuste, che solitamente non accade ogni anno.
  2. Rischio di transizione: deriva dai costi associati all’inevitabile riaggiustamento del mercato verso un’economia che sia nature-positive. Queste misure, sviluppate proprio per rallentare la distruzione dell’ambiente che ci circonda, potrebbero avere un impatto negativo su alcune aziende.
  3. Rischio sistemico: riguarda il deterioramento di un ecosistema che può provocare danni significativi alla civiltà umana in diverse aree. Per esempio, un terreno contaminato o inquinato non produrrà lo stesso raccolto di uno “sano”, fattore che potrebbe dare il via a una carestia.


Opportunità e strategie di investimento

Approcciarsi alla biodiversità potrebbe offrire vari vantaggi commerciali per le imprese:

  • Aprire nuovi mercati redditizi, diventando pionieri di nuovi prodotti e servizi, trasformando i propri modelli di business;
  • Migliorare il valore attribuito al proprio brand, essendo riconosciuto in quanto desideroso di prendere la scelta giusta per il pianeta;
  • Miglior accesso al capitale e a possibili sinergie operative, attraverso, tra le altre cose, una riduzione nei costi di materie prime ed energia.
Questo tipo di trasformazione avrà, chiaramente, bisogno di fondi, ma quanto denaro è necessario e da dove dovrebbe essere preso? L’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), che si compone unicamente di organizzazioni governative e civili, ha invitato i governi a garantire un investimento annuale nella natura, così da portare avanti il progetto di protezione della biodiversità, rimarcando che questi programmi proposti non creino ulteriore danno alla natura e sottolineando che questi dovrebbero devolvere almeno il 10% dei loro “recovery investment” per proteggere e risanare la natura.

D’altro canto, le istituzioni finanziarie possono aiutare espandendo le opportunità di investimento, ad esempio con green bond, prestiti verdi con tassi di finanziamento bassi, bond a impatto e altre tipologie di prodotti finanziari sostenibili.


Prossima fermata: biodiversità!

La principale ambizione della conferenza sulla biodiversità delle Nazioni Unite, che si terrà a dicembre 2022, sarà quella di replicare l’accordo di Parigi sul clima nel settore della biodiversità. Includerà una grande varietà di stakeholder del settore privato e dell’industria della finanza. Ci si aspetta che il nuovo patto comprenderà un articolo che definirà il ruolo delle istituzioni finanziarie nel garantire alcuni obiettivi chiave: fermare e invertire il processo di perdita di biodiversità entro il 2030. Gli investitori avranno un ruolo centrale, così come tutti gli esseri umani: per la loro stessa salvezza è necessario restituire quello che è stato sottratto dalla Terra.

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