A distanza di quattro anni è stato trovato un accordo tra Sotheby’s e lo Stato di New York nella causa iniziata nel novembre 2020 per l’assunto coinvolgimento della casa d’aste nell’evasione fiscale dell’imposta sulle vendite da parte dei collezionisti che hanno acquistato importanti opere durante le aste di New York. L’accordo prevede il pagamento da parte della casa d’aste di 6,25 milioni di dollari e un impegno a formare i propri dipendenti con delle linee guida per rispettare gli adempimenti fiscali collegati alle vendite di dipinti e beni da collezione in esenzione da imposta.
L’accusa della procura di NY a Sotheby’s
Secondo la procura dello Stato di New York, Sotheby’s nel periodo tra il 2010 e il 2020 aveva aiutato alcuni collezionisti suoi clienti a non pagare le imposte locali dovute sulle vendite effettuate a loro favore dalla casa d’asta mediante l’utilizzo improprio dei certificati fiscali di rivendita che consentono di ottenere l’esenzione fiscale dalle imposte.
Le opere che hanno beneficiato dell’esenzione illegittima sono quelle più costose
I dipinti di alcuni degli artisti più quotati sul mercato sono stati coinvolti nello schema ricostruito dalla procura. In una lista composta da quasi quaranta artisti si trovano opere di Jean-Michel Basquiat, Gerhard Richter, Christopher Wool e Andy Warhol. In un caso specifico, un cliente di Sotheby’s avrebbe acquistato 27 milioni di dollari di opere d’arte dalla casa d’aste utilizzando lo schema di esenzione fiscale tramite i certificati di rivendita. In altri sette casi Sotheby’s avrebbe accettato certificati illegittimi in relazione all’acquisto di opere d’arte per milioni di dollari tra il 2012 e il 2020.
Cosa sono i certificati di esenzione fiscale
I certificati sono in realtà destinati a essere utilizzati solo dai mercati e dai commercianti che acquistano le opere e i beni nelle aste per poi rivenderli ai collezionisti. Non possono essere utilizzati dai collezionisti privati. Servono a neutralizzare l’effetto dell’imposta fin tanto che il bene non arriva dal rivenditore al collezionista finale. Nel caso dell’accordo raggiunto, la casa d’aste, secondo l’accusa, avrebbe saputo sin dall’inizio che le opere d’arte non erano destinate alla rivendita ma avrebbe accettato comunque i certificati. In diversi casi, ha detto l’ufficio del procuratore generale, i funzionari di Sotheby’s non si sono limitati ad accettare i certificati fraudolenti, ma hanno incoraggiato i clienti a utilizzarli, fornendo loro i moduli necessari da compilare e persino compilando parti dei documenti nell’interesse dei collezionisti. Secondo la procura di New York, Sotheby’s avrebbe accettato questi certificati di esenzione fiscale anche se le opere vendute erano destinate a entrare nelle collezioni private degli acquirenti.
L’imposta sulle vendite nello Stato di New York
Nelle condizioni generali di vendita per le aste di New York applicate dalla casa d’aste è specificato che al prezzo di aggiudicazione dei lotti si aggiunge la “Sales tax”. Sotheby’s è infatti tenuta a riscuotere l’imposta sulle vendite su qualsiasi articolo battuto all’incanto indipendentemente dalla destinazione finale, a meno che l’acquisto non sia effettuato per la rivendita e non sia consegnato un certificato di esenzione fiscale valido.
La “Sales Tax”, ossia l’imposta sulle vendite, si applica alle vendite al dettaglio di determinati beni personali materiali e servizi comprese opere d’arte e beni da collezione e si combina con l’imposta sull’uso dei beni e servizi, denominata “Use Tax”, che si applica se si acquistano beni personali materiali e servizi al di fuori dello Stato di New York ma li si utilizzano all’interno dello Stato. L’aliquota dell’imposta sulle vendite e sull’uso è complessivamente pari 8,875% della transazione per lo Stato di New York ed è ripartita per il 4,5% alla città di NY, per il 4% allo Stato di NY e per lo 0,375% al Distretto dei trasporti locale. Le aliquote dell’imposta sulle vendite variano da Stato a Stato USA e in alcuni di essi l’imposta non è prevista.
La difesa di Sotheby’s
Sotheby’s non ha ammesso alcun illecito con la sottoscrizione dell’accordo raggiunto, secondo quanto riportato da un suo portavoce. La casa d’aste ha sempre creduto che l’accusa fosse infondata in quanto la procura avrebbe nel caso specifico confuso i confini tra collezionista, consulente d’arte e mercante. Tale situazione può sorgere quando i commercianti hanno collezioni d’arte che includono ad esempio opere destinate alla rivendita e opere per la conservazione personale. La sottoscrizione dell’accordo, quindi, sarebbe stata fatta per evitare le spese legali, l’impiego di energie e risorse e la durata della causa che avrebbero potuto avere un impatto maggiore della somma concordata.