La tipica remunerazione riconosciuta agli asset managers per lo svolgimento delle funzioni loro affidate è rappresentata dalle commissioni di gestione, che sono normalmente considerate a valore “di mercato” in quanto negoziate tra parti terze e indipendenti (i.e. gestore e investitori). Tuttavia, le transazioni infragruppo – ad esempio, tra il gestore e le entità correlate qualora localizzate in diverse giurisdizioni fiscali – rientrano nel perimetro di applicazione della normativa sui prezzi di trasferimento. Pertanto, al fine di condurre una corretta analisi di transfer pricing è necessario innanzitutto determinare il ruolo svolto da ciascun soggetto all’interno della catena del valore, per poi individuare il corretto metodo di remunerazione della relativa attività.
A tale proposito, i principi del transfer pricing rappresentano le linee guide su come risolvere l’annosa questione di come remunerare – tenendo conto delle funzioni svolte, dei rischi assunti e degli assets utilizzati in ciascuna delle giurisdizioni in cui opera il gruppo – le key value adding functions, inter alia (i) raccolta dei capitali, (ii) gestione del rapporto con gli investitori; (iii) studi di mercato e identificazione delle opportunità d’investimento; (iv) composizione della strutturazione dell’investimento; (v) monitoraggio degli investimenti; (vi) valutazione di exit strategies.
Inoltre, i modelli operativi tipici del settore dell’asset management prevedono che frequentemente il gestore dell’investimento affidi ad advisory companies locali all’interno del gruppo il compito di fornire servizi di consulenza quali, analisi di mercato per identificare e valutare opportunità d’investimento, monitoraggio degli investimenti, etc. In tale caso, il rischio di stabile organizzazione potrebbe essere rilevante, soprattutto data l’ampia definizione di stabile personale come prevista dell’Action 7, recepita in Italia nell’art. 162 del Tuir. Per esempio alla luce della nuova definizione di cui all’art. 162 del Tuir, qualora l’advisor operasse esclusivamente nei confronti del gruppo di appartenenza ai fini della conclusione di contratti, poi perfezionati senza modifiche sostanziali, potrebbe, in principio, configurare una stabile organizzazione personale. Pertanto, una corretta politica di transfer pricing è necessaria in quanto, qualora la remunerazione dell’advisor fosse già in linea con le funzioni svolte, il rischio di stabile dovrebbe essere ininfluente per l’erario.
Si evidenzia, inoltre, che in questa prima fase del progetto Beps – conclusasi con la pubblicazione delle sovra-menzionate 15 Actions – è susseguita una nuova fase che pone come obiettivo quello di cambiare radicalmente i paradigmi su cui si fonda attualmente la fiscalità internazionale. In particolare, l’Ocse sta lavorando all’architettura di nuovo sistema fiscale internazionale con l’introduzione di norme sulla digitalizzazione dell’economia e sul contrasto alle attività di erosione delle basi imponibili con i Pillars One e Two del cd. Beps 2.0. Particolarmente rilevante per gli asset managers è il dibattito attualmente in corso relativo al Pillar Two, tramite cui si vorrebbe introdurre un livello minimo di imposizione fiscale (global minimum tax o “Globe”). Data la consolidata prassi di localizzare strutture di asset management (o parti di queste) in giurisdizioni off-shore o a fiscalità privilegiata, il dibattito in corso sui Pillars e la possibilità di una carve-out rule per i fondi di investimento dovrebbero essere monitorati degli operatori di settore.