E in Italia? “È un fenomeno in grande espansione, e si sta diffondendo anche qui”, spiega Lucia Martina, segretario generale di Fondazione Lang. “Può costituire un’alternativa alla fondazione nel momento in cui si vuole avviare attività filantropiche ma con maggiore flessibilità strutturale”, aggiunge Martina, che insieme ad altri specialisti del mondo filantropico interverrà il 24 ottobre a Milano nel corso del VII Philanthropy Day ideato da Lang. La Fondazione Lang è nata nel 2011 e a inizio 2018 ha avviato le attività di intermediazione filantropica e set up dei Daf.
Come funzionano i Daf
Definito come un veicolo filantropico, un Daf ovvero Donor Advised Fund è in sostanza un fondo destinato ad attività filantropiche che viene seguito da un philanthroy advisor. Essendo un’alternativa meno onerosa rispetto alla creazione di un trust filantropico o di una fondazione e più semplice da costituire – possono essere avviati in brevissimo tempo- i Daf semplificano di molto il processo del dono.
“Il Daf prevede una donazione da parte di un soggetto all’interno di un veicolo di intermediazione filantropica (come Fondazione Lang). Viene costituito un regolamento del fondo”, che potrebbe essere paragonato a un mini-statuto di una fondazione, “con cui si stabilisce in accordo con il donatore quali saranno le aree di intervento, le tempistiche e le modalità. È uno strumento più flessibile”, commenta Martina. “La differenza principale rispetto a una fondazione – aggiunge – è che con il Daf non viene costituito un veicolo giuridico nuovo, ma si crea un fondo all’interno di una realtà esistente”.
“Aiutiamo i donatori a realizzare i loro progetti filantropici, sollevandoli dalla gestione amministrativa di cui dovrebbero occuparsi se istituissero una loro fondazione”, sottolinea Sabrina Grassi, director of operations della Swiss Philanthropy Foundation, l’unica fondazione ombrello indipendente della parte francese della Confederazione elvetica.
Creata nel 2006, la SPF conta 51 fondi filantropici creati storicamente e grazie ai suoi 160 donatori (nel 2018) eroga mediamente 9 milioni l’anno. “C’è solo un ente giuridico, la fondazione ombrello. I fondi filantropici sono segregati: ognuno ha il proprio nome e scopo, c’è una convenzione che definisce la relazione tra la fondazione ombrello e il donatore, ci sono conti bancari separati per ogni fondo”, che non hanno una personalità giuridica.
“Abbiamo sia la responsabilità morale di eseguire la volontà del donatore, sia una responsabilità fiduciaria. Il donatore è coinvolto in quello che chiamiamo il comitato direttivo del fondo almeno una volta l’anno (in certi casi 2-3) insieme a parenti o amici che decide di far partecipare al comitato”, prosegue Grassi. Una volta ricevuto l’incarico dal filantropo, la fondazione ombrello fa una due diligence degli enti a cui saranno erogate le donazioni, per verificare che il denaro arrivi nelle mani di un ente finanziariamente stabile e che agisca per la pubblica utilità.
Il donatore viene informato del lavoro di ricerca da parte della fondazione ed è sollevato da diversi oneri come la gestione dei rapporti con le autorità, gli aspetti contabili e amministrativi. “Tramite il Daf – dichiara Grassi – al donatore rimane la parte più interessante della filantropia: quella di realizzare il progetto filantropico, di segnalare le organizzazioni che vuole sostenere e i progetti a cui vuole destinare il proprio patrimonio”.
Tra Italia e Svizzera ci sono però alcune differenze. Se a Ginevra è la Swiss Philanthropy Foundation a essere titolare dei conti correnti destinati ai progetti filantropici, in Italia chi si rivolge alla Fondazione Lang apre un fondo filantropico e continua a fare affidamento sul proprio gestore di riferimento. “Certamente, rimane importante vigilare sul fondo affinchè sia gestito correttamente. Noi ci occupiamo direttamente della destinazione delle risorse economiche ai differenti progetti sul territorio ”, precisa Martina.
“Vista la missione filantropica della fondazione – le fa eco Grassi – vogliamo una gestione che sia equilibrata per minimizzare i rischi. Non incoraggiamo profili aggressivi o troppo dinamici. Lo scopo non è quello di perdere soldi negli investimenti, ma di dedicarli alla causa filantropica”.
Cambiano i filantropi, cambia la filantropia
Ad alcuni filantropi donare non basta più. Come nel proverbio cinese secondo cui è meglio insegnare come essere sostenibili nel tempo, piuttosto che estinguere un singolo bisogno, il filantropo di oggi si mette in gioco attivamente per garantire il futuro dell’ente che sostiene. “Alcuni soggetti cominciano ad associare alla logica del grant (donazione) un’ottica di investimento finanziario (impact investing). Al classico ingrediente del dono, si aggiunge quello del finanziamento: dare qualcosa auspicando che un giorno – dopo aver contribuito alla crescita di una realtà che si vuole sostenere – possa tornare indietro per essere nuovamente investito in altre realtà”, spiega Martina.
L’evoluzione del profilo dei donatori, insieme al diffondersi dei nuovi strumenti (come i Daf) ha portato a un diverso approccio al dono. È nata la cosiddetta filantropia strategica, un sistema per trasformare le donazioni in veri e propri investimenti e un modo per concentrare i contributi privati in progetti integrati e farne un moltiplicatore per mobilitare energie e risorse. Il nuovo filantropo vuole dare vita a un autentico motore di miglioramento sociale.
“Tutto parte dal desidero del filantropo di voler verificare se effettivamente attraverso il suo operare si è generato un cambiamento”, afferma Martina. “Non è detto che servano solo risorse di tipo monetario per generare un effettivo cambiamento sociale. L’ente che si sostiene può avere bisogno di colmare alcuni gap dal punto di vista dell’organizzazione interna, oppure di network, o nel recruitment delle persone ecc. Nella filantropia strategica si prendono in considerazione tutti questi aspetti per far sì che la realtà si rafforzi al meglio”.
Per garantire a loro volta maggiori benefici a enti e donatori europei, le fondazioni del Vecchio continente hanno costituito una rete transnazionale. Della Transational Giving Europe fanno parte sia la Fondazione Lang che la Swiss Philanthropy Foundation. “La rete oggi riunisce 21 membri”, ricorda Grassi. “Per noi – spiega – è un grande vantaggio: permette di confrontarsi rispetto alle best practices e alle tendenze del settore filantropico in Europa.
I donatori poi riescono a realizzare più agevolmente i propri progetti filantropici in Europa”. Attraverso il network TGE, sono transitati a livello europeo 13 milioni di euro, ai quali ha contribuito anche Fondazione Lang. Per Grassi, un ulteriore incentivo a una filantropia senza confini potrebbe venire dalle istituzioni: “Credo che dei messaggi istituzionali forti – insieme a una buona informazione – possano aiutare a far capire ciò che questa filantropia europea permette di costruire insieme”.