Circa il 12% del petrolio marittimo e l’8% del gas naturale liquefatto passano dal Mar Rosso
Il fattore fondamentale per determinare quanto potrebbe incidere la crisi in futuro sarà il numero di navi da carico decideranno di intraprendere la rotta più lunga e costosa che circumnaviga il continente passando dal Sudafrica
Una possibile estensione della crisi al Golfo Persico, per ora ritenuta poco probabile, avrebbe ripercussioni di gran lunga superiori alla paralisi nel Mar Rosso
A partire dalla seconda metà di novembre i ribelli yemeniti Houthi, che godono dell’appoggio dell’Iran, hanno iniziato ad attaccare regolarmente le navi da carico di passaggio nel Mar Rosso; da allora, però, non molto è accaduto sui prezzi del petrolio. Anzi, nonostante attacchi sempre più frequenti dopo la prima settimana di gennaio, il prezzo del Brent è diminuito, riflettendo con maggiore attenzione l’andamento rialzista del dollaro e le attese per un mantenimento più prolungato dei tassi Fed ai livelli attuali. A quota 77,3 dollari al 17 gennaio, il Brent si trova su livelli più bassi rispetto a quelli del mese precedente del 2,3%.
Una crisi sottovalutata dai mercati?
Non tutti credono che questa tranquillità sia giustificata, in quanto i costi di trasporto aggiuntivi per diverse materie prime che transitano abitualmente dal Mar Rosso potrebbero aumentare, ricadendo sui costi finali. L’idea che le ondate di attacchi, rivolte contro l’appoggio occidentale a Israele nella guerra contro Hamas, siano solo un problema transitorio non convince tutti gli osservatori. Secondo il ceo della compagnia petrolifera Chevron, Michael Wirth, quella che minaccia le navi da carico nel Mar Rosso, “è una situazione molto seria e sembra stia peggiorando”, ha dichiarato a margine del Forum di Davos a Cnbc. Secondo Wirth, il barile Wti a 73 dollari (sceso ulteriormente dal 16 gennaio a quota 71) è un fattore di sopresa, dal momento che i “rischi sono molto reali” e “Gran parte del petrolio mondiale scorre attraverso quella regione e se venisse interrotto, penso che potremmo vedere cambiamenti molto rapidi”.
Alcune compagnie petrolifere, fra cui Shell e Bp, hanno interrotto le proprie rotte in passaggio sul Mar Rosso. La stessa Chevron “monitorerà molto attentamente” la situazione per valutare se proseguire i trasporti nella regione.
Se ci si limita a guardare la reazione sui prezzi delle materie prime, la crisi del Mar Rosso sembra un elemento non cruciale sull’andamento dell’offerta, con impatti limitati. Il fattore fondamentale per determinare quanto potrebbe incidere la crisi in futuro sarà il numero di navi da carico decideranno di intraprendere la rotta più lunga e costosa che circumnaviga il continente passando dal Sudafrica.
“Gli attacchi al traffico commerciale nel Mar Rosso si sono recentemente intensificati… Abbiamo anche assistito a una rappresaglia da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito sotto forma di attacchi aerei contro gli Houthi nello Yemen. Rimane incerto come gli Houthi risponderanno a questi attacchi e se c’è il rischio di coinvolgere altri attori nella regione”, hanno scritto gli esperti di materie prime di Ing, Warren Patterson ed Ewa Manthey in una nota del 16 gennaio, “ma è chiaro che l’escalation aumenta sia il rischio di interruzioni delle rotte che la probabilità che più spedizionieri optino per percorsi alternativi attorno all’Africa meridionale”.
Quanto pesa il Mar Rosso sui transiti di petrolio
Il Mar Rosso è uno snodo cruciale per il flusso di petrolio e ogni giorno vi transitano 9,2 milioni di barili fra lo stretto di Suez e l’oleodotto Sumed. Circa il 12% del petrolio marittimo passa proprio dal Mar Rosso. In particolare, secondo gli esperti di Ing, è soprattutto l’India a ricevere petrolio attraverso queste rotte, utilizzate per il greggio proveniente dalla Russia.
Oltre al già citato rischio che possano aumentare gli spedizionieri che evitano il Mar Rosso, Patterson e Manthey sottolineano che “un rischio maggiore per il mercato petrolifero è che la situazione si diffonda, portando a interruzioni dei flussi di petrolio attraverso lo Stretto di Hormuz”.
“Sebbene riteniamo che il rischio sia basso, è necessario monitorarlo, soprattutto dopo che l’Iran ha recentemente sequestrato una petroliera nel Golfo di Oman”, hanno aggiunto, “attraverso lo stretto transitano poco più di 20 milioni di barili giornalieri di petrolio, pari a circa il 20% del consumo globale… E’ chiaro che un’escalation che metta a rischio i flussi di petrolio del Golfo Persico sarà molto più preoccupante per il mercato petrolifero e l’economia globale. Le navi possono evitare il Mar Rosso aggirando il Capo di Buona Speranza. Purtroppo, a parte alcuni flussi sauditi e degli Emirati Arabi Uniti via oleodotto, non esistono rotte alternative per la maggior parte dei flussi provenienti dal Golfo Persico. Lo Stretto di Hormuz è l’unica opzione”.
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Anche il gas naturale liquefatto (Gnl), diventato sempre più importante per l’approvvigionamento energetico europeo dopo la drastica riduzione delle forniture provenienti dai gasdotti russi, passa per l’8% del commercio mondiale proprio dal Mar Rosso.
Meno rilevante, invece, è la centralità della rotta bersagliata dagli Houthi per i metalli e ancor meno per i prodotti agricoli, ha affermato Ing.
La possibilità che su petrolio e Gnl possa pesare il rischio di escalation rende la situazione particolarmente pericolosa in caso di estensione al Golfo Persico, ma per il momento l’impatto sull’offerta è stato giudicato ancora meno rilevante di altri fattori che al momento guidano il mercato di petrolio e Gnl.