Nel contesto della successione per legge, esistono infatti soggetti che il nostro ordinamento considera di più rispetto ad altri, che lo sono di meno.
Senza dubbio il coniuge è il più considerato perché è la figura che ha diritto alla quota maggiore, per esempio, in mancanza di legittimari (figli e ascendenti del coniuge) prende tutto; in mancanza di figli, ma in presenza di un fratello o sorella, prende i 2/3. Ma poi ha un diritto di abitazione sulla casa familiare e sull’uso degli arredi, non derogabile, non rinunciabile.
Per fare, un esempio, se il coniuge fosse stato proprietario di una villa, con ipotesi 10 camere da letto, ma unico immobile di mille mq destinato all’abitazione familiare, quello superstite terrebbe fuori tutti gli altri eredi, i quali diventerebbero proprietari (sì, ma nudi), non potendo goderne finché vivrà la madre.
Il legato ex lege del diritto di abitazione (trattasi di diritto reale) esclude gli altri, può permettere quindi di sovrastare i diritti degli altri, di “sfrattare” i figli ancorché nudi proprietari che fino a quella data abitavano l’immobile, senza considerare il diritto di uso sugli arredi che si trovano al loro interno.
Non solo, ma il coniuge divorziato, se godeva di un assegno di divorzio, ha diritto all’assegno successorio, in caso di stato di bisogno, come credito nei confronti degli eredi, e ciò varierà in base all’entità dell’eredità, il numero degli eredi.
Al coniuge, sempre divorziato, ma con assegno di divorzio, spetta in quota la pensione di reversibilità, seppure in concorso con l’eventuale successivo nuovo coniuge; peraltro giocherà al riguardo la durata del matrimonio e anche la convivenza effettiva, prima del matrimonio stesso.
Al coniuge, sempre divorziato, ma con assegno di divorzio, spetta in quota il Tfr, seppure in concorso con il successivo nuovo coniuge.
Chi è il meno considerato? È il convivente more uxorio, non è legittimario, non è erede legittimo, ma ha ottenuto soltanto un legato ex lege, L 76/2016, ossia il diritto di abitare (e non di abitazione), equivalente a un diritto personale di godimento, non un diritto reale e, oltretutto, limitato a due anni dall’apertura della successione, con poca forza di opponibilità ai terzi, se non dimostrando di aver registrato la convivenza.
Peraltro, al di là di queste prerogative riconosciute solo al coniuge, che la legge possa lasciare qualche problema da risolvere, lo dimostra il fatto che esistono molti contenziosi volti a sciogliere le comproprietà che vengono a crearsi fra eredi che si trovano a essere cointestati in tutti i cespiti caduti in successione (immobili, partecipazioni, aziende etc), a volte, senza che si siano mai conosciuti, oppure con interessi diametralmente opposti, oppure perché costretti a condividere problematiche di alcuni, dai debiti ai vincoli imposti dall’età e capacità (per esempio, minorenni o molto anziani).
Partendo da un’affermazione ricorrente nel problem solving, ossia che la soluzione spiega il problema che risolve, dall’esame di alcuni contenziosi conseguenti alle successioni per legge, appare chiaro che se in questi procedimenti si chiederà lo scioglimento della comproprietà, allora significa che la comunione è il problema da risolvere prima che può accadere l’evento.
Il trend economico, ma anche sociale di oggi, non permette più a nessuno di valutare con superficialità queste possibili conseguenze, soprattutto di fronte a patrimoni con cespiti eterogenei, ed eredi potenzialmente non allineati, anche per la coesistenza di famiglie allargate, ossia di famiglie legittime e di fatto.
Le procedure nei tribunali non aiutano la gestione efficace dei beni in contesa durante tutto il periodo necessario per arrivare alla loro conclusione con la conseguenza che inevitabilmente i valori di tali cespiti diminuiranno, come diminuirà anche l’interesse degli eredi alla loro conservazione/manutenzione fino a quando la controversia non sarà definita.
Individuare le paure, tipo quella di fare un torto a qualcuno, permette in combinata con l’eterogeneità del patrimonio potenzialmente da lasciare, ed eventualmente la coesistenza di più famiglie, di far scoprire al cliente che si può fare una pianificazione giusta o equa, insieme a quella migliore, senza, per esempio, ricorrere al testamento, così da evitare contenziosi futuri.
Questo è il successo della pianificazione attenta che potrebbe superare questi timori, con ciò riportando una serenità che ridà stimoli per il futuro ad esempio all’azienda, ma soprattutto alla famiglia, anche di fatto, la quale perde o riduce, nel migliore dei pronostici, quella conflittualità interna che esploderebbe dopo l’aprirsi di una successione.
Il click non è facile perché ciascuno tende a mantenere la propria zona di confort, e tra una perdita e una vincita, tra una reazione e una azione, si predilige evitare le perdite, o reagire, anziché agire.
La paura di alterare degli equilibri consolidati, giusti o sbagliati, e soprattutto la paura di far scatenare delle liti è molto potente, ma ci sono paure anche maggiori dalle quali possono dipendere le sorti di un patrimonio, ma anche della vita delle persone.
Fare e non fare costa la stessa fatica, ma con risultati diametralmente opposti: se si farà o agirà, si potranno aprire determinate prospettive, sia negative che positive; se non si farà o solo reagirà, si potranno aprire determinate prospettive, per lo più negative perché dettate o imposte da altri, i quali svuoteranno di valore il futuro delle persone coinvolte e del patrimonio.
Molto spesso la legge propone una soluzione equa e per status, sta poi a noi, ricercare la soluzione, oltre che giusta, anche migliore alla situazione specifica che viene prospettata per evitare alcuni rischi, dal contenzioso per divisioni, a omesse tutele per alcuni soggetti come il convivente o la convivente.