Le imposte che si pagano su un patrimonio all’estero si dividono principalmente in due categorie: le imposte patrimoniali e le imposte sui redditi
L’ottimizzazione fiscale relativa a un conto corrente all’estero, ma soprattutto a un portafoglio, è fondamentale, per evitare la duplicazione di imposte
Avvocato ci può dunque spiegare perché è importante l’ottimizzazione fiscale per chi ha un conto corrente all’estero?
Ogni volta che in Italia si parla di imposta patrimoniale o di rischio Paese, nasce la volontà di aprire conti all’estero. Tuttavia, il carico fiscale e gli adempimenti possono essere gravosi se non si strutturano gli investimenti in modo avveduto. Di conseguenza, l’ottimizzazione fiscale relativa a un conto corrente all’estero, ma soprattutto a un portafoglio, è fondamentale. Da una parte, serve a evitare la duplicazione di imposte, prima nello Stato in cui è accesso il conto, poi in Italia. Dall’altra, evitare di incorrere in sanzioni per la mancata compliance fiscale, che possono essere elevate soprattutto se le attività sono detenute in Stati c.d. black list. Gli investimenti esteri, infatti, vanno riportati nel quadro RW della dichiarazione fiscale. La mancata indicazione comporta sanzioni che vanno dal 3% al 30% del valore non dichiarato per anno a secondo del Paese in cui sono collocate.
Le imposte che si pagano su un patrimonio all’estero si dividono principalmente in due categorie: (i) le imposte patrimoniali e (ii) le imposte sui redditi. I soggetti residenti in Italia sono tenuti al versamento dell’Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie all’Estero (IVAFE). Si tratta di un’imposta patrimoniale a tutti gli effetti equivalente all’imposta di bollo italiana applicata in misura fissa sui conti correnti (€ 34,20), la cui giacenza media supera gli € 5.000 nel corso dell’anno e in misura proporzionale con aliquota del 2 per mille sui depositi titoli. Dall’IVAFE è possibile detrarre eventuali imposte patrimoniali equivalenti prelevate all’estero, anche se sono rare.
Le altre imposte prelevate all’estero sono le ritenute sui rendimenti generati dai conti e dai portafogli. Spesso le rendite finanziarie quali dividendi, proventi dei fondi e gli interessi generati dalle somme depositate sui conti o dalle obbligazioni o da altri titoli sono soggette alle ritenute alla fonte. Queste possono raggiungere aliquote elevate, ad esempio il 30% negli USA, il 35% in Svizzera, ecc. Ai sensi delle convenzioni contro le doppie imposizioni in vigore con l’Italia, le ritenute dovrebbero essere limitate o del tutto evitate. A titolo esemplificativo, le imposte sui dividendi solitamente non dovrebbero superare il 15%. Purtroppo, a volte la banca depositaria non è attrezzata per far valere l’applicazione della ritenuta ridotta sui proventi, vuoi perché non opera nello Stato dei titoli, vuoi perché il dossier è in sub-deposito presso un’altra banca.
Coloro che hanno conti all’estero devono quindi prestare molta attenzione alle trattenute alla fonte perché il sistema fiscale italiano impedisce di poterle accreditare, cioè di scomputarle dalle imposte italiane. Di fatto, l’investitore si troverà a subire una doppia imposizione prima nello Stato della fonte, poi in Italia.
E infine, ci sono, secondo lei, altri strumenti per gestire la ricchezza estera all’interno di un portafoglio?
Ci sono vari strumenti che permettono di evitare o almeno ridurre le criticità sopra descritte. Ad esempio, i fondi di investimento sono spesso strutturati in modo da evitare di subire le ritenute sugli investimenti sottostanti e al contempo sono collocati in giurisdizioni che non applicano ritenute in uscita sui proventi distribuiti. In questo caso è necessario verificare che il fondo sia ‘armonizzato’ alle direttive UE in modo da subire la tassazione con l’aliquota del 26%, anziché ad IRPEF progressiva.
Anche i derivati e i certificati permettono di ottenere una esposizione all’investimento, anche se indirettamente tramite il sottostante, evitando al contempo ritenute, posto che solitamente danno luogo a capital gain non soggetti a imposte alla fonte.
Un altro strumento sempre molto utilizzato per canalizzare gli investimenti all’estero sono le polizze vita in quanto calcolano la fiscalità come un portafoglio in regime fiscale gestito, ovvero applicano la tassazione del 26% sul risultato netto della gestione (12.5% sui certi proventi da titoli in Stati c.d. white list), permettendo di dedurre le imposte estere. Per altro, a differenza dei conti in regime gestito, la tassazione non è applicata anno per anno, ma è differita sino al momento dell’evento morte o del riscatto della polizza.