Sotheby’s, grazie alle tecnologie digitali applicate alle vendite, ha contenuto il calo del fatturato al -37% rispetto allo stesso primo semestre del 2019. Il dato è più pesante per Christie’s (-60%) che tuttavia nell’asta “One” dello scorso luglio è riuscita a conseguire un risultato straordinario in un’unica asta nel formato ibrido (offerte online, streaming e in sala) tenuta contemporaneamente nei principali hub del mondo dell’arte: Hong Kong, Parigi, Londra e New York.
In Italia i risultati migliori sono stati conseguiti dagli operatori che hanno saputo integrare il digitale prima e meglio degli altri. Le grandi case d’asta avevano già avviato il processo di digitalizzazione prima del lockdown. Per loro, si è trattato quindi solo di un’accelerazione per non perdere quote di mercato durante i mesi di chiusura. Per l’Italia i (pochi) dati disponibili quantificano in un 35-40% il calo medio di fatturato nel settore delle aste più importanti tenutesi nel primo semestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019.
Faticano invece a tenere il passo le gallerie che, secondo i dati diffusi dall’Associazione di categoria ANGAMC, hanno subito un calo del fatturato oltre il 70% per il 40% degli intervistati nel trimestre marzo-maggio 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Forse sono i soggetti che più degli hanno subito l’impatto della pandemia e per i quali la tecnologia non è riuscita ancora a dare un concreto contributo alle vendite. Ciò nonostante il ricorso a visite virtuali per raggiungere a casa il collezionista e dargli il modo di vivere un’esperienza interattiva con dipinti e sculture.
Tra immagini ad alta risoluzione, intelligenza artificiale, ambienti in 3D e spazi interattivi che presentano l’opera già inserita in un contesto di arredamento ideale, si cerca di compensare l’assenza dei vernissage, offrendo in tal modo una nuova esperienza di acquisto che però stenta a decollare. Gli occhi, evidentemente, rimangono ancora oggi il miglior strumento tecnologico per vedere e comprare arte.
La circolazione delle opere d’arte ha visto inoltre l’impiego della tecnologia per consentire la conversione dei diritti di proprietà sull’opera in informazioni digitali, in modo da renderla suddivisibile in quote per la vendita sul mercato.
E’ questa la così detta tokenizzazione dell’opera che sta riscuotendo un certo successo soprattutto tra i millennial interessati più alla condivisione che al possesso e sicuramente attratti dalla possibilità di investire budget più contenuti per l’acquisto di (quote) di opere che diversamente sarebbero inaccessibili.
Altri impieghi della tecnologia sono proposti sul mercato da startup innovative che cercano di colmare le criticità di un settore tradizionalmente contraddistinto dall’attaccamento a processi ancora analogici e dall’opacità e poca trasparenza sull’autenticità e la provenienza delle opere. Queste imprese ad alto contenuto tecnologico da qualche tempo hanno iniziato a occuparsi di security token per l’acquisto di servizi correlati alla compravendita, di intelligenza artificiale per la ricerca online delle opere, del crowdfunding sulle piattaforme digitali per finanziare progetti o anche solo per la catalogazione delle opere in formato digitale.
I nuovi trend dei servizi tecnologici applicati all’arte sono oggi indirizzati sui servizi di logistica, assicurazioni, dati e analytics, istruzione, scoperta di nuovi artisti.
E così anche la casa d’aste Phillips ha lanciato il 6 agosto 2020 “Articker” una piattaforma digitale che, tramite un algoritmo matematico complesso, consente di tracciare i trend degli artisti in base alle citazioni contenute quotidianamente in un database di oltre 50 mila fonti editoriali messe in ordine per autorevolezza. Ciò al fine di monitorarne la crescita soprattutto in relazione agli artisti emergenti e suggerire a collezionisti e mercanti l’acquisto di opere semplificando ricerca e studio. Ma il dato più interessante è che l’80% delle startup di questa ultima generazione di startup si è focalizzato sull’utilizzo della blockchain nell’arte.
La blockchain, letteralmente “catena di blocchi”, è un registro condiviso e immutabile, utilizzato per registrare le transazioni, tenere traccia degli asset e consolidare un rapporto di fiducia. In alcuni casi viene utilizzata per offrire, almeno nelle intenzioni, un supporto all’autenticità dell’opera.
Questo approccio, basato sull’abbinamento dell’oggetto fisico con le informazioni digitali tramite immagini ad alta risoluzione poi registrate sulla blockchain per essere utilizzate quale parametro di riferimento per i passaggi di proprietà successivi, presenta degli aspetti sicuramente interessanti.
Per gli artisti viventi che presentano le loro opere alla prima registrazione e ne confermano l’autenticità la tecnologia è efficace. Il problema sorge però con gli artisti non più viventi in relazione alle opere già presenti sul mercato. Chi ne conferma l’autenticità alla prima registrazione sulla blockchain?
I tempi passano, le tecnologie avanzano ma il grande dilemma del settore rimane.