Con una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 5536 del 2024, i giudici hanno offerto nuovi chiarimenti su alcuni aspetti cruciali del contratto preliminare di compravendita immobiliare.
Si tratta di una pronuncia che permette di approfondire il ruolo e le implicazioni del preliminare di compravendita, mettendo altresì in evidenza alcuni elementi essenziali che lo caratterizzano.
I dati catastali non sempre sono necessari
L’identificazione del bene oggetto del contratto non passa a tutti i costi dai dati catastali: infatti, ad avviso della Corte, per garantire la validità di un contratto è necessario che l’oggetto dello scambio sia determinato o almeno determinabile, come stabilito dall’art. 1418 c.c., pena la nullità dell’accordo, ma non è parimenti necessario che per detta determinazione si debba fare riferimento ai dati catastali.
In materia di compravendita immobiliare, l’identificazione del bene può infatti avvenire attraverso diversi strumenti, sia diretti che indiretti, legali o convenzionali, in quanto il codice civile non prescrive un criterio rigido per l’individuazione degli immobili ai fini della validità del contratto.
Per tale ragione, come affermano i giudici della Corte, non sempre è indispensabile indicare i confini dell’immobile o i dati catastali. Ciò che rileva è che il bene sia identificabile in modo univoco, anche mediante il riferimento ad altri elementi contenuti nel contratto stesso.
Se l’immobile risulta chiaramente individuabile attraverso ulteriori clausole del preliminare, l’accordo pertanto rimane valido anche in assenza di dettagli catastali specifici.
La volontà delle parti
Ai fini della validità del contratto preliminare, non è necessario, inoltre, che tutte le condizioni del futuro contratto definitivo siano già stabilite nei minimi dettagli. Ciò che conta è che nel contratto preliminare (che deve essere redatto in forma scritta) emerga in modo chiaro l’accordo tra le parti sugli elementi essenziali della compravendita, e dunque sia lampante la manifestazione libera della volontà delle parti di concludere l’affare.
Contratto preliminare condizionato all’ottenimento di una concessione pubblica
Un’ulteriore ordinanza della Cassazione, la n. 5976 del 2024, affronta una situazione particolare ma di grande rilevanza: il caso in cui un contratto preliminare sia subordinato all’ottenimento di un’autorizzazione amministrativa da parte del promissario acquirente.
Ciò che si desume da questa pronuncia è che qualora l’acquirente non dovesse ottenere il cambio di destinazione d’uso necessario ai suoi interessi, anche qualora abbia compiuto tutti gli adempimenti formali richiesti, il rogito non potrà essere perfezionato e il promittente venditore non avrà il diritto a trattenere la caparra.
Infatti, in caso di contratti soggetti a condizioni potestative miste (cioè quando l’avveramento della condizione dipende sia da una volontà soggettiva che da fattori esterni), la mancata realizzazione della condizione non può essere considerata una violazione della buona fede se essa dipende da fattori estranei alla volontà, in questo caso, dell’acquirente.
La flessibilità del preliminare e l’importanza del consulente
Le recenti pronunce della Corte di Cassazione evidenziano la flessibilità del contratto preliminare di compravendita, sia nella determinazione dell’oggetto che nella definizione delle condizioni di validità. Se da un lato è necessario garantire la certezza dell’accordo, dall’altro occorre riconoscere in esso margini di elasticità, purché vi sia un’identificazione chiara del bene e delle condizioni principali della transazione.
Questi aspetti sottolineano l’importanza di essere assistiti da un consulente esperto nelle fasi di predisposizione del contratto preliminare, per evitare contestazioni future e garantire un percorso lineare verso il rogito definitivo.