È di questi giorni l’ultima notizia che vede protagonisti cinque quadri della mostra A Future for the Past, ospitata alla Kunsthaus Zürich e incentrata sull’immensa collezione di Emil Bührle, che potremmo forse definire la persona più controversa nella Svizzera del ventesimo secolo.
La storia di Emil Bührle, lo svizzero più controverso del XX secolo
Cosa sta succedendo sulle coste dello Zürisee? Ma sopratutto, perché la collezione di Bührle è oggetto di tanta attenzione mediatica? Partiamo dall’inizio. Nato nel 1890 a Pforzheim (nel sud della Germania) in una famiglia della bassa borghesia tedesca, Emil dimostrò di essere un “amante della bellezza” sin dalla tenera età. Si iscrisse alla facoltà di filologia e storia dell’arte di Friburgo, appassionandosi particolarmente alla pittura degli impressionisti francesi. Con l’avvento della Prima Guerra Mondiale, servì al fronte come luogotenente e trasferito nel 1918 a Magdeburgo, dove conobbe la moglie Charlotte Schalk.
Il matrimonio con quest’ultima, figlia del banchiere Ernst Schalk, fu il lasciapassare per l’inizio della carriera di Bührle. Emil iniziò infatti a lavorare per la Magdeburger Werkzeug und Maschinenfabrik (di cui il suocero era azionista), che acquisì poi la società svizzera Werkzeugmaschinenfabrik Oerlikon, operazione per cui Bührle fu inviato a Zurigo. Dopo aver comprato diversi brevetti (tra cui quello del cannone da 20mm di Reinhold Becker), nel 1937 Emil divenne sia cittadino svizzero sia unico proprietario della Oerlikon Bührle & Co. (trasferendosi con la famiglia in Zollikerstrasse 178 a Zurigo). Fino alla fine degli anni ’30 la fabbrica produsse armamenti venduti soprattutto in Inghilterra e Francia (per un valore di 88 milioni di franchi svizzeri), ma dal 1940 le cose cambiarono radicalmente.
A seguito di una decisione del Consiglio Federale Svizzero, durante la Seconda Guerra Mondiale le armi della Oerlikon (prodotte anche vicino a Berlino tramite l’utilizzo di lavoratrici provenienti dai campi di concentramento) vennero fornite solo alla Germania, all’Italia e alla Romania, portando nelle tasche dell’azienda almeno 420 milioni di franchi. E fu grazie a quest’operazione che Emil divenne nel 1945 l’uomo più ricco di tutta la Svizzera, con un patrimonio personale di più 160 milioni di franchi (e un’azienda con oltre 3.000 dipendenti). Nonostante dopo la guerra Bührle fosse stato inserito nella “black list” dei “Western Allies” (per poi venirne cancellato nel 1946), il business continuò ad essere fiorente (espandendosi in Italia, Lichtenstein, India, Cile e negli Stati Uniti) fino alla morte di Emil, avvenuta nel 1956.
La collezione Emil Bührle
E l’arte? Come si inserisce in tutto questo? Se da una parte Emil era un vero appassionato d’arte, dall’altra la reputava anche un mezzo per essere accettato nell’upper class di Zurigo. Dal 1927 infatti, entrò a fare parte della Zürcher Kunstgesellschaft, ovvero l’associazione di mecenati legata alla Kunsthaus Zürich (diventando così molto amico di Franz Meyer-Stünzi, banchiere e presidente dell’associazione). Nel 1936 iniziò invece a collezionare opere sistematicamente (nonostante il primo acquisto di sempre fu nel 1923 Alpine Lake (1923) del pittore tedesco Erich Heckel) comprando – entro il 1940 – 50 quadri dal valore totale di 1.4 milioni di franchi.
Come anticipato, Bührle partì dagli impressionisti francesi quali Edgar Degas, Auguste Renoir, Paul Gauguin, Camille Corot, Camille Pissarro, Claude Monet e Paul Cézanne, che acquistò soprattutto dalla Galleria Fischer di Lucerna (in questo periodò si appassionò anche alle opere di Vincent van Gogh, cercando di acquisirne una prima senza successo). Durante la Seconda Guerra Mondiale l’imprenditore comprò altre 100 opere di “arte degenerata”, 13 delle quali classificate in seguito come Nazi-looted art dalla Suprema Corte Federale Svizzera (Bührle fu condannato nel 1948 a restituirle ai legittimi proprietari, poi ricomprandone 9 nel corso degli anni). Fu però dagli anni ’50 che la collezione si espanse notevolmente. Soprattutto durante i viaggi di lavoro a Londra e New York, Emil acquistò altre 400 opere (per un totale di almeno 30 milioni di franchi svizzeri) di artisti quali Vincent van Gogh (interessante qui sapere che Bührle comprò una copia di Self-Portrait Dedicated to Paul Gauguin, crendendola autentica), Amedeo Modigliani (come Reclining Nude, 1916), Peter Paul Rubens, Jean-Auguste-Dominique Ingres, alcuni masterpieces di Paul Cézanne (The Boy in the Red Waistcoat, 1888-1890, acquistato per 400.000 franchi) e Auguste Renoir (Little Irene, 1880, comprato per 240.000 franchi), ma anche arte moderna quali i lavori di Oskar Kokoschka (che ritrasse sapientemente Emil tra il 1951 e il 1952) e Pablo Picasso (il quadro Flowers and Lemons, 1941, è visibile in una foto scattata al collezionista dalla rivista Life nel 1954).
Dopo essere diventato vicepresidente della Zürcher Kunstgesellschaft, Bührle decise di finanziare la costruzione di una nuova ala della Kunsthaus Zürich (l’edificio Pfister). Oltre a versare dei fondi per i lavori, Emil visitò lo studio di Monet (insieme all’allora direttore della Kunsthaus René Wehrli) e acquistò The Water Lily Pond with Irises (1914-1922) e The Water Lily Pond in the Evening (1916-1922) per il museo (oltre a donare alla Kunsthaus anche opere di Rodin, Cézanne e Tiziano).
La fondazione Bührle e il legame con la Kunsthaus Zürich
Bührle non vide mai il nuovo edificio terminato nel 1958, lasciando nelle mani della famiglia ben 633 opere di – quasi – inestimabile valore. Nel 1960 la moglie Charlotte e i figli decisero di creare la Stiftung Sammlung E.G. Bührle, ovvero una fondazione privata a cui donarono 221 delle opere loro appartenenti (ad oggi, le opere sono 230), aperta in Zollikerstrasse 172.
Dopo decenni di attività, nel 2016 la fondazione è stata definitivamente chiusa (soprattutto per problemi di sicurezza, avendo l’edificio subito il furto di quattro dipinti), e la collezione donata alla Kunsthaus Zürich (mediante una votazione favorevole del parlamento della città di Zurigo), che l’ha esposta nella nuova ala del museo progettata da Chipperfield nel 2021.
La decisione di tenere la collezione di Emil è sempre stata oggetto di critiche feroci, soprattutto per due motivi. Il primo è il dibattito che riguarda la moralità legata all’esposizione e al possesso di opere acquistate vendendo armi in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale. Il secondo riguarda invece la provenienza delle opere stesse, che deve essere indagata a fondo.
La provenienza delle opere di Bührle oggetto di studio
La nuova mostra A Future for the Past (aperta fino al termine del 2024 alla Kunsthaus), ben pone l’accento sul concetto di provenienza di un’opera d’arte e sulla turbolenta storia della famiglia Bührle. Per approfondire quanto portato avanti fino ad oggi dalla Fondazione Bührle, la Kunsthaus ha commissionato allo storico Raphael Gross di verificare con una ricerca indipendente la provenienza dei quadri in mostra.
In attesa dei risultati di Gross – che dovrebbero essere pubblicati a giorni – il museo ha annunciato di aver ritirato dalle proprie sale cinque dei quadri di Emil. Portrait du Sculpteur Louis-Joseph (1863) e Jardin de Monet à Giverny (1895) di Claude Monet, Georges-Henri Manuel (1891) di Henri de Toulouse-Lautrec, Der alte Turm (1884) di Vincent van Gogh e La route montante (1884) di Paul Gauguin non rispetterebbero infatti le nuove “best practices” (pubblicate dallo U.S. State Department lo scorso marzo) sul trattamento di opere categorizzate come Nazi-looted art.
Diversamente, il quadro La Sultane (1871 ca.) di Eduard Manet è stato ritirato dall’esposizione perché oggetto di controversia legale: sembra che il quadro sia appartenuto al collezionista ebreo Max Silberberg, ucciso nel campo di concentramento di Auschwitz (per questo caso, la Fondazione Bührle si è detta disposta a pagare una “compensazione simbolica”).
Infine, la scorsa settimana la Kunsthaus è stata oggetto di polemica anche per il quadro L’Homme à l’ombrelle (1865-1867) di Claude Monet. Il dipinto verrà offerto all’asta sulla base di un accordo tra il museo e gli eredi dell’imprenditore tessile Carl Sachs, che fu costretto a vendere L’Homme à l’ombrelle alla Kunsthaus per finanziare la propria fuga dalla Germania nazista e l’entrata in territorio svizzero.
In copertina: Emil Bührle fotografato da Life nel 1954. Tutte le foto sono di Alice Trioschi.