E’ ufficiale: a partire dal 6 marzo scatterà la nuova emissione del Btp Italia, il titolo di Stato emesso dal Tesoro indicizzato all’inflazione italiana. In una fase in cui il costo della vita è aumentato in modo così forte e improvviso, l’attrattiva di un titolo che protegge dall’aumento dei prezzi potrebbe essere più forte che mai. Ma rende di più o di meno rispetto a un normale Btp di pari scadenza, in questo caso, a cinque anni? La risposta non è delle più semplici, ecco alcuni elementi fondamentali per decidere.
Nel momento di pubblicazione il ministero dell’Economia non ha ancora comunicato quale sarà il rendimento minimo del titolo, che sarà emesso per i piccoli risparmiatori fra il 6 e l’8 marzo. Al 7 febbraio, questo il dato certo al momento, il Btp “normale” con scadenza a cinque anni genera un rendimento pari al 3,58%. Al contrario, il rendimento del Btp Italia è variabile per definizione, in quanto si compone di una cedola fissa, alla quale va ad aggiungersi a un’altra componente commisurata all’inflazione rilevata dall’Istat. Di conseguenza, se l’inflazione si mantiene oltre una certa soglia, il titolo indicizzato rende di più di quello a cedola fissa e viceversa.
Per gli investitori che parteciperanno all’emissione primaria e manterranno il titolo in portafoglio fino a scadenza (ma non per quelli che acquisteranno il Btp Italia in un secondo momento) verrà riconosciuto un rendimento aggiuntivo (premio fedeltà) dello 0,8%.
In generale, la preferenza per un titolo indicizzato all’inflazione dovrebbe essere guidata dalle aspettative sul futuro andamento dei prezzi. Comprendere le ragioni dell’aumento dell’inflazione osservato nel 2022 è fondamentale per orientare la decisione, perché il prezzo di alcuni prodotti, come quelli energetici, salgono e scendono con grande rapidità (ossia, sono molto volatili). Se l’inflazione dovesse rientrare rapidamente, in seguito a una stabilizzazione dei prezzi dell’energia, il Btp Italia offrirebbe un rendimento meno interessante. Al contrario, se i rincari osservati finora trainassero una spirale crescente di costi anche su numerosi altri prodotti, innescando l’aspettativa di un’inflazione stabilmente più elevata, il Btp Italia potrebbe proteggere di più da questa eventualità negativa.
Sbagliato ritenere che il solo fatto di essere indicizzato rappresenti un rischio in meno per il Btp Italia. “Il rischio di una generica obbligazione solitamente dipende dalla somma dei singoli rischi (o elementi di variabilità) che esprime come per esempio rischio di credito, di liquidità, di variazioni della politica dei tassi delle banche centrali”, ha dichiarato a We Wealth l’avvocato (patrimonialista) Roberto Lenzi (Lenzi e Associati), “la variazione del tasso di inflazione è un generico “rischio” che si aggiunge ai precedenti. Tecnicamente quindi implica un rischio maggiore”.
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Gli elementi per confrontare Btp e Btp Italia
Prima di decidere se investire sul Btp Italia, ha dichiarato a We Wealth Lorenzo Brigatti di Lixinvest, “il primo fattore da tenere in considerazione è sicuramente il tasso reale annuo minimo garantito. Per questa nuova emissione sarà comunicato al pubblico venerdì 3 marzo, quindi senza avere questo numero è difficile fare confronti”.
Il secondo fattore, come accennato in precedenza, sta nelle aspettative di inflazione futura. “Se nei prossimi cinque anni si prevede un aumento significativo dell’inflazione, il Btp indicizzato è da preferire alla sua controparte non indicizzata, visto che il capitale verrebbe rivalutato per la determinazione della cedola ogni sei mesi, in base all’andamento dei prezzi”, ha affermato Brigatti, “viceversa, se le aspettative di inflazione sono basse o stabili, il Btp normale potrebbe offrire un rendimento più alto”.
Secondo l’analista obbligazionario indipendente, Giacomo Alessi, le aspettative attuali del mercato sono piuttosto contenute anche se è difficile che si verifichi “un tracollo dell’inflazione improvviso”, poiché oltre alle componenti più volatili, numerose altre si adeguano con un certo ritardo – ad esempio affitti, salari, servizi. L’indice d’inflazione a un anno previsto dal mercato attualmente è dell’1% e “a dieci anni non è nemmeno a un 2%”. In sintesi, gli investitori si aspettano per l’Italia “un’inflazione piuttosto bassa” ha affermato Alessi, che eviterebbe di inserire una quantità eccessiva di titoli indicizzati all’inflazione: “In questo momento i tassi fissi offrono un buon rendimento e non credo che l’inflazione supererà il rendimento del Btp decennale, che al momento è al 4,18%”.
Il fatto che l’inflazione di oggi sia molto elevata non è indicativa di quanto potrà rendere il Btp Italia: “Una cosa importante da considerare è che il livello attuale di inflazione non rende automaticamente il Btp indicizzato all’inflazione una scelta migliore”, ha sottolineato Brigatti, “questo dato, quello che si legge sui giornali, è riferito al passato e non ha un effetto significativo sul rendimento del Btp Italia”.
La scommessa sul Btp indicizzato, per dirla altrimenti, non è vincente dopo che l’inflazione è salita, ma quando l’acquisto viene fatto prima che quest’ultima cresca in modo inaspettato. Ben si sarebbe mosso, ad esempio, l’investitore che nel 2021 si fosse messo in portafoglio un Btp Italia (astutamente, però, il Tesoro non ne ha emesso neanche uno quell’anno, quando iniziavano a montare i timori sui colli di bottiglia provocati dalla riapertura post-covid).
Le alternative
Per chi volesse avere una copertura dal rischio-inflazione, ma senza esporsi eccessivamente alle sorti dello Stato italiano (e al suo elevato debito pubblico) “si possono quindi prendere in considerazione Etf che investono in titoli di Stato obbligazionari in tutta Europa”, ha affermato Brigatti, “oppure creare dei portafogli di investimento bilanciati con una percentuale adeguata di azionario: anche se potrebbe soffrire un po’ nel breve periodo, dovrebbe proteggere dagli effetti dell’inflazione nel medio/lungo periodo (da 5 anni in su)”.
Fre le alternative potenzialmente anti-inflazione citate da Lenzi, “asset reali (facendo molta attenzione a certe proposte di investimento di private equity e similari, in specie con il connotato multristrategy, in questo settore da parte di soggetti orientati solo a lucrare laute commissioni e con scarsa expertise nel mercato di riferimento) e società quotate con scarsa sensibilità al ciclo economico e alle oscillazioni dei prezzi delle materie prime”.