Generosità. Forte senso dell’etica e visione intergenerazionale. Consapevolezza e desiderio di apprendere. Sono alcuni dei tratti fondamentali delle donne che investono nel nuovo millennio. Eredi di ricchezza o imprenditrici loro stesse, rappresentano una quota che nel wealth management sta crescendo velocemente. Sia dal lato della domanda (clientela) che dell’offerta (consulenza). Su quest’ultimo fronte We Wealth ha intervistato Alberica Brivio Sforza, ceo di Lombard Odier in Italia.
Dr.ssa Brivio Sforza, come mai Lombard Odier ha scelto di adottare un approccio di genere alla gestione della ricchezza?
«Non abbiamo adottato un approccio di genere nella gestione dei processi. Semplicemente si è trattato di una presa di coscienza che tanta parte del patrimonio mondiale si sta trasferendo dai baby boomer nelle mani di donne. Lo certificano recenti studi (penso a quello di McKinsey, a quello del Washington Post): la consistenza del trasferimento è di 30mila miliardi di dollari. Si stima che una buona fetta di questi asset entro tre – cinque anni arriverà a donne, e che entro la fine del decennio (entro il 2030) il passaggio sarà terminato. È la maggior veicolazione intergenerazionale di ricchezze mai avvenuta nella storia. Ciò non può lasciare indifferente un wealth manager, che si deve munire di strumenti, sensibilità, soluzioni per poter trattenere e accogliere sempre più donne come clienti».
È perché le donne sono un numero maggiore rispetto agli uomini?
«Certamente. Il tema è demografico. Ma già da un decennio almeno il numero di clienti donne della nostra banca è aumentato. In passato era molto più probabile che un cliente fosse uomo. Anche in Italia, se ci pensa, il numero delle miliardarie sta aumentando. E non solo per effetto del passaggio generazionale: aumentano le imprenditrici di successo anche nel nostro paese». Fra le imprenditrici si ricordino solo: Miuccia Prada, Giuliana Benetton, Isabella Seràgnoli (Coesia), Susan Carol Holland (Amplifon), Alessandra Garavoglia (Campari). Al momento la percentuale delle nostre clienti è inferiore a quella dei clienti; ma anche in virtù di quanto visto, le proporzioni sono destinate a cambiare».
Cosa cerca l’investitrice italiana e in cosa si differenzia dall’uomo nella gestione del suo patrimonio (a patto che questa differenza ci sia)?
«La donna è più altruista per natura. Non sto parlando di filantropia: più dell’uomo, la donna pensa all’impatto dei propri investimenti, alla sostenibilità. Vuole investire “con uno scopo”, non solo per il mero rendimento. Quello degli investimenti sostenibili è un trend secolare che sta interessando tutto il nostro settore, seppur con una battuta d’arresto negli ultimi due anni, da quando è scoppiata la guerra in Ucraina (24/2/2022, ndr). Dopo questo rallentamento riprenderà: noi lo trattiamo fin dal 1997, abbiamo creato delle competenze interne – molto avanzate e sofisticate – per questo. Siamo in grado di cavalcarlo da leader e non da follower (in microeconomia, il follower è colui che viene dopo, il non innovatore, ndr). In generale, la donna tende a delegare di più agli esperti». L’uomo invece vuole esprimere maggiormente la sua opinione, tende a “contrastare”. In ultimo, possiede minor propensione al rischio, è più equilibrata e conservativa, è meno speculativa».
Ha la capacità di delegare le cose giuste?
«Si. È capace di delegare in maniera congrua, chiarendo bene ciò che vuole all’inizio del mandato: “Ti affido 5 milioni, ma hai questi paletti di rischio e di scopo. Di etica”. Chiaro poi che in corso d’opera le premesse del mandato di gestione possono cambiare, se serve. C’è flessibilità e pragmatismo».
C’è una caratteristica comune nei mandati femminili di gestione?
«Se devo individuarne una, non posso che dire la propensione alla sostenibilità. Ciò detto, le donne tendono a stare lontane da investimenti che non capiscono: purtroppo l’asimmetria nell’istruzione finanziaria rispetto agli uomini si sente ancora. Per esempio, le donne investono negli asset illiquidi solo dopo aver passato un tempo sufficiente a capirne il funzionamento. In ogni caso noi abbiamo un modello di business che non è volto a vendere prodotti, ma a trovare soluzioni di investimento».
Lombard Odier prevede in tal senso attività formative per le investitrici?
«Si. Abbiamo creato un programma accademico dedicato alle donne e alla finanza (“LO Women’s Club” esiste dal 2016 per esempio, ndr), con l’obiettivo di creare dei punti di contatto, seminari, momenti di formazione per le nostre clienti».
Sappiamo a quanto ammonta la ricchezza italiana afferente alle donne?
«Al momento ancora no».
Tornando al passaggio generazionale. La donna abbiente italiana che approccio vi ha?
«Molto più pragmatico e con visione di lungo termine rispetto all’uomo. Le donne non hanno timore di pensare al dopo, ciò non è un tabù (come purtroppo per alcuni uomini e imprenditori è ancora). La donna pensa in primo luogo ai propri figli, in generale alla generazione successiva. Ed è in grado di utilizzare, con la giusta consulenza, tutti gli strumenti legislativi e organizzativi che esistono per organizzare un passaggio generazionale equo e che sia soprattutto di salvaguardia del patrimonio stesso. La donna è meno “superstiziosa”».