Guido Carli, da governatore della Banca d’Italia (1960-75, prima era stato ministro del Commercio estero e direttore esecutivo dell’Fmi, dopo presidente di Confindustria, parlamentare Dc e ministro del Tesoro, e in quest’ultima veste ha firmato il Trattato di Maastricht) ha caratterizzato l’azione dell’Istituto e quest’ultimo “tout court”, con la caratterizzazione che è durata anche dopo.
I punti chiave della dottrina “Guido Carli”
I punti chiave di quella che è stata una vera e propria dottrina, per elaborazione, sofisticatezza e organicità, possono essere così sintetizzati:
- massima autonomia dell’istituto nella politica monetaria e nella vigilanza bancaria;
- senso di responsabilità nell’esercizio dell’autonomia, con necessità di farsi carico dei problemi del Paese, accettando deroghe – ovviamente controllate – al rigore nella politica monetaria;
- indissolubilità del nesso tra i due compiti dell’istituto di cui al punto a);
- massimo rigore della vigilanza finalizzata alla stabilità della banca:
- natura della vigilanza quale di natura “macro” e relativa al controllo dei fondamentali “ratio” patrimoniale e mai di merito e nemmeno mai sui singoli atti;
e) distinzione tra vigilanza e banche, con l’istituto che mai si sostituisce alla singola banca; - irrilevanza della vigilanza ai fini civilistici di validità degli atti;
- discrezionalità nei tempi dell’istituto, in persona del governatore, nel trasmettere denunzia all’autorità giudiziaria penale;
- necessità di salvataggio delle banche in crisi con totale salvaguardia di tutti i risparmiatori non azionisti, questi esposti al rischio.
La dottrina Carli si basava su due presupposti rigorosi: da un lato, il mercato dei capitali italiano era povero, e pertanto le banche erano essenziali per assistere il settore industriale, e dall’altro l’impresa, per il nesso con i flussi monetari, è un’impresa speciale, non come le tutte altre.
Ma vi erano anche due presupposti di fatto non considerati essenziali dalla dottrina e anzi osteggiati: da un lato la circostanza che le principali banche erano pubbliche e dall’altro la presenza di forti limiti all’operatività delle banche nel settore degli investimenti finanziari, con obbligo di separazione tra banca ordinaria e banca di investimento.
Questi due ultimi presupposti di fatto avevano un ruolo importante per agevolare il successo della dottrina: essi circoscrivevano e rendevano più controllabile il rischio assunto nel concreto dalle banche.
Guido Carli, grande sostenitore e protagonista assoluto della salvaguardia delle banche, combatté una grande battaglia, dopo aver lasciato l’incarico di governatore, per rimuovere i due ultimi presupposti, in un’ottica di vivace dialettica con se stesso, da lui stesso ascritta alla presenza in sé -veramente significativa – de “le due anime di Faust”, di cui tale argomento costituì un esempio emblematico.
La privatizzazione delle imprese pubbliche e la legge Sim
Anche – se non, addirittura, soprattutto – grazie alla sua lotta, i due presupposti furono rimossi nei primi anni degli anni ’90 con la privatizzazione delle imprese pubbliche e con la legge Sim: Carli non poté assaporare il gusto delle due grandi vittorie, in quanto morì nel ’93 a 79 anni.
Con la creazione di un mercato azionario delle banche e con la lotta per il loro controllo da un lato e dall’altro con l’attività in titoli, le banche hanno acquisito una enorme dinamicità, sia nella struttura societaria sia nell’attività sul mercato.
Lì si fissarono le condizioni per l’aumento smisurato di rischi, per attirare e mantenere gli azionisti con la prospettazione di alti utili, e con un orientamento dell’attività verso i settori e i profili più speculativi, nonché con incentivi abnormi all’altissimo “management”.
La crisi finanziaria mondiale del 2008, la più terribile di tutta la Storia, e mai risanata in modo da manifestarsi ancor adesso, con le recentissime crisi bancarie, ha destabilizzato tutti i mercati occidentali.
Quello che è certo è che la situazione complessiva delle banche si è destabilizzata e i rischi sul mercato degli investimenti finanziari sono aumentati in modo esponenziale.
Sul punto lo scrivente si è soffermato già da prima della crisi del 2008, assumendo una posizione assolutamente minoritaria.
Le due posizioni dominanti, tra di loro contrapposte, sostengono l’una che occorre rimuovere il modello della banca universale introdotto grazie alla dottrina Carli, e quindi che occorra ritornare alla separazione tra le due attività e l’altra la validità della dottrina, da aggiornare ma non stravolgere.
Per inciso, il dibattito sul ritorno alla banca pubblica è, invece, molto poco vivace.
Chiuso l’inciso, lo scrivente ritiene che il modello della banca universale sia irreversibile, ma che la dottrina Carli sia totalmente superata e vada sostituita con altra, radicalmente diversa.
Il modello della banca universale è irreversibile, in quanto le connessioni tra le diverse attività finanziarie sono inestricabili e l’esercizio congiunto non solo consente economie di scala ma anche promuove una visione d’insieme e così una grande valorizzazione della finanza.
La banca, nonostante la vulgata propria degli ultimi tempi, di ubriacatura che si estrinseca in eccessi di finanza, non è un’impresa come tutte le altre, proprio perché i suoi debiti sono mezzi di pagamento: una visione d’insieme solo finanziaria è necessaria e irreversibile.
I conflitti d’interesse, maggiori in presenza dell’esercizio concreto di più attività, devono essere oggetto di regolamento, inibizione e controllo. Ma non possono indurre a incidere sulla struttura organizzativa interna. Del resto, l’inibizione dell’esercizio congiunto a livello di società non potrebbe valere a livello di gruppo (un’inibizione del genere è prevista solo in Israele).
Ciò chiarito, d’altro canto, il modello della banca universale, nel quadro generale che è emerso, ha reso superata – con un contributo non banale della scomparsa della banca pubblica -, di sviluppo e non solo assistenziale a dissesto verificatosi – la dottrina Carli, in quanto il controllo delle grandezze macro non è più sufficiente e occorre un controllo di merito sulle operazioni più rischiose e più in generale sulla dislocazione tra diverse attività. Operazioni rovinose possono alterare il mercato e l’economia delle banche. E soprattutto un’esposizione ad alto rischio da parte della banca provoca l’abbandono della stabilità. Ed i profili civilistici diventano decisivi con le operazioni rovinose e con le insolvenze diffuse a macchia d’olio.
La vigilanza e la protezione e salvaguardia del settore bancario
A ciò è da aggiungere che la vigilanza ha perso anche prestigio e ruolo nel momento in cui i risparmiatori cominciano a perdere (oltre agli obbligazionisti subordinati vi sono stati gli azionisti indotti a diventare tali per ottenere o mantenere i crediti, operazioni cosiddette baciate, e poi titoli obbligazionari di società industriali fallite e collocati da banche, Cirio, Parmalat), e poi la lotta per il controllo azionario le ha fornito poteri di merito che l’hanno condotta – non necessariamente per mala fede se non oggettiva – a comportamenti criticabili nella nota vicenda dei “furbetti del quartierino”.
La vigilanza ha perso sacralità.
La vigilanza, così come configurata sulla scia della dottrina Carli, è del tutto in-effettiva.
Né si può pretendere di spostare all’indietro le lancette dell’orologio.
Della dottrina Carli occorre mantenere l’imperatività e l’imparzialità rispetto alla politica, ma le va fornito un potere correttivo sul merito dell’imprenditorialità bancaria, cui invece essa è del tutto estranea.
In virtù di tale attribuzione, la banca centrale non diventerebbe una super-banca, come temuto da Carli, ma, in quanto garante della stabilità monetaria e bancaria, assurgerebbe al livello di elemento di correzione incisiva in grado di penetrare all’interno del mondo bancario, ma questa volta in posizione critica e dialettica – e non più sinergica come con la dottrina Carli.
Il mondo bancario ha al proprio interno profili devianti – che proprio la dottrina Carli ha contributo a sviluppare – tali da richiedere un intervento correttivo globale.
La protezione e la salvaguardia del settore, a partire dalla stabilità, sono necessarie come con la dottrina Carli, ma da posizione dialettica, a differenza di questa. Il punto è che la stabilità ha perso consistenza nel momento in cui la banca ha perso la propria specialità e sta diventando un’impresa come tutte le altre.
La dottrina Carli, che in partenza si basava proprio sulla specialità, ha fissato i presupposti per il suo superamento: di qui “le due anime di Faust” che hanno caratterizzato il (grandissimo, s’intende) personaggio in questione.
La necessità di un nuovo approccio
Nel non assetarsi su metafore, brillanti e illuminanti, ma alla fine tali da cannibalizzare un approccio approfondito, il vero è che il trionfo della caratterizzazione finanziaria dell’economia -irreversibile – e che tende in ambito bancario a privilegiare la finanza innovativa e spregiudicata rispetto a quella tipicamente bancaria, richiede un approccio nuovo e profondamente correttivo.
Di fronte a fenomeni destabilizzanti, occorre una capacità di salvaguardia che non è più quella ordinaria della dottrina Carli, ma una straordinaria e con profili eccezionali, i quali, per normalizzarsi, richiedono un cambio di paradigma che porti a un modello bancario e finanziario alternativo rispetto a quello attuale.