L’Esg influenza il valore delle imprese ma serve un linguaggio comune

I fattori ambientali, sociali e di governance consentono di integrare nuovi parametri valutativi, che analizzano più in profondità la sostenibilità del business. Tuttavia, occorre maggiore chiarezza sui criteri utilizzati e sui metodi di misurazione. Intervista all’interno de Le Dossier di Carmignac a Francesco Perrini, ordinario di economia alla Bocconi, delegato del rettore alla presidenza del comitato sostenibilità e direttore del Sustainability lab

Investimenti sostenibili a senso unico. Maxi-piani per le infrastrutture rigorosamente a prova di transizione climatica. E soprattutto aziende di ogni settore, grandi e piccole, tutte in prima linea sul fronte della responsabilità sociale e ambientale. Si insinua un inevitabile sospetto: se ogni cosa ha una vocazione green e social, forse nulla è davvero sostenibile. Non è così. Ma la narrazione che va per la maggiore nelle campagne di comunicazione e nei processi di vendita – dove la responsabilità sociale e ambientale permea qualsiasi argomento – rischia di essere controproducente.
E soprattutto complica il lavoro di chi cerca di mettere ordine, distinguendo aziende e investitori concretamente impegnati in un percorso credibile di promozione dello sviluppo sostenibile, da coloro che si limitano a un’incursione tattica, a un approccio frettoloso e superficiale, per non restare voci fuori dal coro. È uno sforzo inevitabile e necessario per chi vuole interpretare la sostenibilità in modo rigoroso, anche in ottica d’investimento. D’altra parte si tratta di un trend che appare inarrestabile. “La sostenibilità e i fattori Esg – environmental, social, governance – sono sempre più al centro dell’agenda sia manageriale sia della finanza che dei policy maker, dal New Green Deal dell’Unione europea al Next Generation EU, che trova declinazione nei piani nazionali di ripresa e resilienza”, osserva Francesco Perrini, professore ordinario di Economia e gestione delle Imprese all’Università Bocconi dove è delegato del rettore alla presidenza del comitato sostenibilità e direttore scientifico del Sustainability lab SDA Bocconi. “L’emergenza sanitaria, economica e sociale ha certamente accresciuto l’attenzione verso la sostenibilità. Si tratta di una “accelerazione della storia”, come le definisce efficacemente lo storico israeliano Harari. I temi green, social e digital sono diventati gli elementi centrali su cui fondare la ripartenza”.

 

Che funzione hanno i criteri Esg in finanza?

I criteri Esg fanno riferimento a metodi alternativi o meglio integrativi di valutazione delle aziende. Si tratta di valutare e misurare la capacità delle imprese di allinearsi a una serie di criteri fondamentali per uno sviluppo sostenibile sotto l’aspetto economico, ambientale, sociale e
di governance, compresi criteri di diversità e inclusione. Economia, investimenti aziendali, ambiente, equità sociale ed etica si intrecciano con questi criteri.
Gli investimenti sostenibili e responsabili seguono strategie di investimento orientate al medio-lungo periodo che, nella valutazione di imprese e istituzioni, integrano l’analisi finanziaria tradizionale con quella ambientale, sociale e di governance. I tassi di crescita di questo segmento sono impressionanti: le ultime stime ufficiali parlavano di oltre il 30% del mercato finanziario, con l’obiettivo di raddoppiare gli asset Esg entro il 2024, ma già oggi il 53% dei proprietari di asset globali sta implementando o valutando fattori ESG nella propria strategia di investimento. Gli asset Esg supereranno il 70% del mercato entro il 2025.

 

Per l’investitore non è sempre facile distinguere gli operatori che adottano un approccio rigoroso alla sostenibilità da quelli che vi si avvicinano con una logica opportunistica e in modo superficiale. Che strumenti abbiamo per fare chiarezza?

Non esiste un rating ufficiale Esg. Negli ultimi anni l’espressione Esg è diventata ricorrente nel linguaggio manageriale e degli investitori, ma sempre più spesso emergono critiche sulle metriche utilizzate, sulla loro affidabilità e mancanza di standardizzazione. Il confronto viene fatto con le grandezze contabili e finanziarie tipiche, con cui la stessa comunità è abituata a operare da qualche decennio. Quello che ci dimentichiamo quando affrontiamo il tema della sostenibilità è la complessità intrinseca che lo caratterizza, che condiziona le nostre capacità di misurazione e di valutazione di rischi, opportunità e impatti in tema Esg.

 

La regolamentazione europea sta facendo alcuni passi in avanti per garantire maggiore trasparenza. A che punto siamo, dopo l’introduzione del Regolamento Sfdr, lo scorso marzo?

Dal 10 Marzo 2021 è in vigore Il Regolamento (UE) 2019/2088 relativo all’informativa sulla sostenibilità del settore dei servizi finanziari, che impone maggiore trasparenza sui criteri utilizzati dagli investitori e dagli intermediari. È un punto di inizio, che aiuta a fare chiarezza, ma non esaurisce il tema.

 

Come si riconosce un’impresa impegnata in modo autentico sul piano della sostenibilità?

In generale si può considerare sostenibile un’impresa che è in grado di esprimere un posizionamento competitivo, a fronte di ritorni stabili nel tempo. Si tratta di aziende che creano valore in modo duraturo nel tempo a favore di tutti gli stakeholder – dipendenti, lavoratori, clienti, fornitori, comunità locali – e che prendono decisioni di business analizzando tutti gli impatti (economici e non) legati alla propria attività, comprese eventuali esternalità negative. Sono aziende che rendicontano e comunicano oltre ai dati economico-finanziari anche informazioni relative ai fattori ambientali – legati ad esempio alla riduzione delle emissioni di Co2, all’efficienza energetica e nell’utilizzo delle risorse naturali – ma anche sociali e di governance.

 

La sensazione è che l’acronimo Esg sia schiacciato sulla componente ambientale (E), mentre la S e la G abbiano meno rilevanza.

Sono altrettanto importanti e hanno pari dignità nell’analisi sulla sostenibilità, anche se non sempre appare in maniera chiara. Gli aspetti sociali, ad esempio, includono la presenza di politiche qualitative per migliorare l’ambiente di lavoro, le relazioni sindacali, il controllo della catena di fornitura, oltre che la valorizzazione delle diversità di sesso, abilità ed età, gli standard lavorativi, le condizioni di sicurezza sul posto di lavoro. La governance, a sua volta, riguarda l’etica e la trasparenza del governo societario: la presenza di consiglieri indipendenti o non esecutivi, le politiche di diversità nella composizione dei CdA, la presenza di piani ed obiettivi di sostenibilità legati alla remunerazione del board, oltre che, le procedure di controllo, le policy e più in generale i comportamenti dei vertici e dell’azienda in termini di etica e compliance.

 

Dal punto di vista accademico è ormai assodato che l’integrazione tra analisi finanziaria tradizionale e Esg generi un effetto positivo sulle performance, nel lungo termine?

Ci sono molteplici pubblicazioni che hanno studiato la relazione tra performance di sostenibilità e finanziaria con diverse metodologie di analisi: la sostenibilità paga! Essere in linea con i criteri Esg, d’altra parte, significa ridurre il profilo di rischio e aumentare il valore dell’impresa, che si riflette nei prezzi delle azioni quotate in Borsa. Vale la pena ricordare che – stando ai dati del World Economic Forum – i rischi globali sono cambiati enormemente per tipologia negli ultimi 10 anni: nel 2010 erano in prevalenza di ordine economico, a seguire, soprattutto dal 2017 in avanti, si sono intensificati i rischi ambientali e sociali, sono diventati più ricorrenti, ma anche più rilevanti per la profondità dei danni che possono provocare.

 

Nel vasto universo della sostenibilità, l’impact investing sta catturando crescente attenzione: in cosa si distingue dalla finanza Esg?

L’impact investing si basa sull’assunto che i capitali privati possano intenzionalmente contribuire a creare un impatto positivo, sul piano sociale e ambientale, di pari passo a un ritorno economico. L’intenzionalità proattiva con cui l’investitore persegue lo scopo sociale o ambientale e la sua misurabilità, insieme al ritorno economico, distinguono questa nuova generazione di investimenti. Ve ne sono di differenti categorie anche di low profit dedicati alle imprese sociali.

 

Qual è la sfida più importante per rendere il nostro capitalismo più sostenibile?

È legata alla creazione di un linguaggio comune, che faccia da ponte tra chi costruisce le metriche Esg e chi le impiega nei processi decisionali. L’educazione su questi temi, a partire dalle università di economia, management e finanza, risulta fondamentale per consolidare quel percorso, che nei prossimi anni dovrà portare a un cambio paradigmatico nel modo di gestire e misurare il valore creato da un’impresa o di un fondo di investimento. Il futuro della sostenibilità è nei temi che consentono la vera trasformazione sostenibile, che sorgono a cavallo tra innovazione e sviluppo sostenibile, ad esempio in aree come le clean tech o l’agribusiness.

 

Articolo tratto dall’inserto Le Dossier di Carmignac per il magazine We Wealth di novembre 2021

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