India: 3 errori da non fare se si vuole investire nel mercato equity

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La scarsa capacità degli investitori stranieri di comprendere il mercato azionario indiano ha perpetrato diversi pregiudizi. È tuttavia tempo di sfatarli

Un mito si aggira sui mercati internazionali: puntare sul comparto azionario indiano rappresenta un azzardo. Eppure, negli ultimi decenni la crescita dei mercati della Tigre è stata lenta ma inesorabile, tanto da portarla a chiudere il 2022 al quinto posto tra le economie di tutto il mondo per incremento del Prodotto interno lordo (Pil). Numeri alla mano, infatti, i rendimenti dell’indice MSCI India da novembre 2002 a novembre 2022 sono stati pari al +1090,28%, quasi il doppio rispetto a quelli generati dall’indice S&P 500 nello stesso periodo (+548,01%). Se da un lato tali cifre dimostrano che il mito dell’investire in India come azzardo possa essere sfatato (e lo testimoniano i numerosi investitori domestici con patrimoni a sei o nove zeri negli ultimi anni), dall’altro questo pregiudizio continua a perpetrarsi tra gli investitori stranieri. La causa? Alcuni errori che questi sono più inclini a commettere. Eccone 3 in particolare (e qualche idea per svincolarsene) secondo Praveen Jagwani, Ceo di UTI International

I 3 errori degli investitori stranieri in India 

1. Avere una strategia di investimento pigra 

Secondo Jagwani, uno degli errori commessi più di sovente dagli investitori stranieri in India è considerare la Tigre (e, di conseguenza, investirvi) come parte di un più vasto pacchetto legato ai mercati emergenti (EM), invece che come paese a sé stante. Una strategia spinta perlopiù dall’invenzione del concetto dei mercati BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) all’inizio degli anni Duemila (concetto abbandonato dallo stesso creatore Jim O’Neill), che ha “restituito rendimenti sotto la media. Infatti, i rendimenti cumulati negli ultimi 5 anni sono stati negativi per gli indici dei mercati emergenti, perlopiù a causa della Cina”. Di contro, “in quanto economia orientata sul comparto growth, l’India è stata consistentemente un outlier positivo e ha restituito rendimenti azionari solidi nell’arco di un intero ciclo di business”. Questo errore sarebbe quindi dovuto al fatto che “il mondo degli investimenti sembra troppo pigro per lasciare andare gli indici legati ai paesi emergenti”, considerati più convenienti, che hanno tuttavia “impedito alla maggior parte degli investitori stranieri di effettuare investimenti isolati in India. […] L’inabilità di riconoscere la traiettoria di crescita indiana è il più grande sbaglio che gli investitori stranieri continuino a fare”. 

2. Aspettare il miglior momento

“Il secondo errore degli investitori stranieri è il cercare di prevedere quando il mercato sarà ai suoi minimi, quelli emergenti in generale e quello indiano in particolare” prosegue Jagwani. “Questa mentalità da trading è probabilmente la principale ragione per cui essi tendono in media a perdere i giorni più performanti per l’India”. 

3. Non capire bene le valutazioni dei titoli indiani 

Una frequente lamentela degli investitori stranieri è il fatto che l’India è troppo cara rispetto ad altri mercati emergenti”. Secondo Jagwani, a spiegare il fatto che “il multiplo prezzo/utili (Price Earning, PE, ndr) dell’India è stato storicamente scambiato a un premio più alto rispetto a quello del paniere dei mercati emergenti e della Cina” sono diverse ragioni, dal contesto politico agli standard di trasparenza delle aziende. Tuttavia, tale premio ha anche fatto sì che l’India abbia restituito “rendimenti più consistenti rispetto a quelli di altri EM e della Cina. Per molti investitori stranieri questo fatto sembra rappresentare un rompicapo: all’inizio si innervosiscono per le valutazioni elevate dell’India e si defilano dall’investire nel paese, per poi rimpiangere tale scelta quando i mercati crescono ulteriormente. Una ragione per questo singolare comportamento è che essi si aprono a nuovi investimenti cercando asset economici. L’India non è mai comparsa nella lista dei mercati poco costosi ed ecco perché molti investitori stranieri perdono il boom economico del paese”. 

In conclusione 

“Gli investitori stranieri hanno storicamente avuto la tendenza a dilettarsi con le azioni indiane invece di impegnare pazientemente il proprio capitale” conclude Jagwani. “Fino a quando essi non si ritaglieranno un’allocazione separata per l’India e non vi dedicheranno risorse di ricerca adeguate, dovranno aspettarsi rendimenti mediocri. Il tentativo di battere sul tempo il mercato non ha mai prodotto rendimenti consistenti in nessun paese e l’India non è diversa. Agonizzarsi sulle valutazioni impedisce uno studio più approfondito del mercato e dei suoi driver di crescita, privando così gli investitori stranieri di opportunità materiali di creazione di ricchezza nelle azioni indiane”.

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