Ogni società esprime sé stessa e i valori che la rappresentano attraverso la creazione di un proprio patrimonio culturale. La sottrazione o la distruzione del patrimonio culturale di una società contribuisce alla perdita della sua identità culturale e, in alcuni casi, perfino all’omogeneizzazione culturale forzata. Il tema è attuale: basti pensare alle razzie e/o alle distruzioni di beni archeologici perpetrare dall’ISIS nel Vicino Oriente e in Africa. La storia d’Italia ne è altresì testimone: il saccheggio compiuto dalle truppe tedesche nella seconda guerra mondiale e da quelle napoleoniche nella prima metà del XIX secolo, oppure gli scavi illegali in Etruria o nell’agro pompeiano, sono il perfetto esempio dei danni che i saccheggi e il commercio illegale di beni culturali possono causare a un determinato patrimonio culturale.
Contro l’importazione illegale dei beni culturali: il Regolamento (UE) 2019/880
Al fine di introdurre un quadro normativo per regolare l’introduzione e l’importazione di beni culturali creati o scoperti in paesi extra UE e prevenire la loro importazione illegale, l’Unione Europea ha adottato il Regolamento (UE) 2019/880.
Le nuove disposizioni si basano su tre principali categorie di beni culturali, elencati rispettivamente nelle parti A, B e C dell’unico allegato. Ognuna delle suddette categorie è soggetta a determinate procedure e conseguenti obblighi che si applicano contestualmente ai vigenti obblighi di natura doganale disciplinati dal Regolamento 952/2013 (Codice doganale dell’Unione).
Dal 28 dicembre 2020 è stata vietata l’introduzione nel territorio doganale dell’Unione Europea dei beni culturali elencati nella parte A dell’allegato, che siano stati rimossi dai paesi in cui sono stati creati o scoperti in violazione delle relative disposizioni normative e regolamentari. Tra i beni culturali di cui è vietata l’introduzione sono presenti gli oggetti aventi valore artistico (quadri, stature, incisioni, ecc.) e gli oggetti di antichità, aventi più di cento anni, quali iscrizioni, monete e sigilli incisi.
A partire dal 28 giugno 2025 verrà inoltre implementato il nuovo sistema digitale centralizzato ICG (acronimo de Import of Cultural Goods) ed entreranno contestualmente in vigore i nuovi obblighi in materia di importazione dei beni culturali extra europei il cui ingresso dovrà essere autorizzato dal rilascio di una licenza di importazione o accompagnato da una dichiarazione dell’importatore.
A tal proposito, in data 24 giugno 2021 è stato adottato il Regolamento di esecuzione 2021/1079 recante, oltre alle norme procedurali e tecniche per l’attuazione delle nuove disposizioni, i modelli delle domande di licenza e delle dichiarazioni dell’importatore e l’elencazione dei documenti ed informazioni che devono essere forniti dai titolari dei beni culturali per cui viene richiesta l’importazione nell’UE. La Commissione Europea ha inoltre messo a disposizione delle Q&A rivolte agli stakeholders contenenti esempi concreti pensati per chiarire le novità e facilitare l’applicazione delle regole.
I nuovi obblighi in materia di importazione dei beni culturali: la licenza di importazione
Dal prossimo 28 giugno, per importare i beni indicati nella parte B dell’allegato, il titolare dovrà quindi presentare una richiesta per il rilascio di licenza di esportazione agli uffici di esportazione territorialmente competenti (Milano, Torino, Venezia, Roma e Napoli) mediante caricamento sul sistema ICG.
I beni culturali per cui sarà richiesto il rilascio di una licenza di importazione sono, in particolare, i prodotti di scavi archeologici (regolari o clandestini) e di scoperte archeologiche terrestri o subacquee e gli elementi provenienti dallo smembramento di monumenti artistici o storici o di siti archeologici (ivi incluse le icone e le statue) aventi più di 250 anni ed indipendentemente dal loro valore economico.
I documenti da produrre per richiedere la licenza
Per ogni bene culturale di cui si chiede l’importazione deve essere presentata una richiesta distinta, corredata dai documenti ed informazioni che attestino come lo stesso sia stato esportato in conformità alle disposizioni dal paese in cui è stato creato o scoperto ovvero che tale paese non aveva disposizioni legislative o regolamentari ostative all’esportazione nel momento in cui il bene è uscito dal suo territorio.
Qualora il paese in cui i beni culturali sono stati creati o scoperti non può essere determinato in maniera attendibile (es. monete di un impero che si estendeva su più stati attualmente esistenti) oppure qualora i beni culturali siano stati rimossi dal paese di creazione/scoperta prima del 24 aprile 1972 (data di approvazione della Convenzione UNESCO per la protezione del patrimonio mondiale, culturale e naturale), il titolare degli stessi può richiedere il rilascio di una licenza di importazione anche fornendo “qualsiasi documento giustificativo e informazione atti a comprovare che i beni culturali in questione sono stati esportati in conformità delle disposizioni legislative e regolamentari dell’ultimo paese in cui si sono trovati per un periodo superiore a cinque anni e per scopi diversi dall’utilizzo temporaneo, dal transito, dalla riesportazione o dal trasbordo”. Fra i documenti che possono essere prodotti vi sono, fra l’altro, cataloghi d’asta, fatture di vendita, documenti assicurativi o di trasporto e titoli di proprietà (compresi testamenti per atto notarile o testamenti olografi).
Gli uffici esportazione si dovranno pronunciare sulla richiesta di rilascio della licenza di importazione entro 90 giorni dalla ricezione della domanda ma, qualora l’autorità ritenga necessario ottenere documenti e/o informazioni integrative, il termine decorrerà dalla ricezione di questi ultimi.
I nuovi obblighi in materia di importazione: la dichiarazione dell’importatore
Per l’importazione dei beni culturali elencati dalla parte C dell’allegato è invece richiesta una dichiarazione dell’importatore. Tra i beni culturali elencati dalla parte C sono presenti, ad esempio, gli oggetti aventi valore artistico (quadri, stature, incisioni, ecc.) e gli oggetti di antichità, sopra i 200 anni e di valore uguale o superiore a 18.000 euro.
L’atto che deve caricato sul sistema ICG e presentato alle autorità doganali al momento dell’importazione dei beni culturali e consiste in realtà in due documenti: (i) una dichiarazione firmata dall’importatore in cui si afferma che i beni sono stati esportati in conformità delle disposizioni legislative e regolamentari del paese in cui sono stati creati o scoperti, vigenti al momento dell’esportazione; (ii) un documento standardizzato in cui i beni sono descritti in modo sufficientemente dettagliato.
Se le disposizioni legislative e regolamentari del paese interessato impongono l’obbligo di ottenere un’autorizzazione preventiva per l’esportazione del bene culturale dal proprio territorio, l’importatore è comunque tenuto ad essere in possesso di tale autorizzazione che, su richiesta, è presentata alle autorità doganali.
In alternativa, qualora il paese in cui i beni culturali sono stati creati o scoperti non può essere determinato in maniera attendibile oppure qualora i beni culturali siano stati rimossi dal paese di creazione/scoperta prima del 24 aprile 1972, il titolare degli stessi può dichiarare che “i beni culturali in questione sono stati esportati in conformità delle disposizioni legislative e regolamentari dell’ultimo paese in cui vi si sono trovati per un periodo superiore a cinque anni e per scopi diversi dall’utilizzo temporaneo, dal transito, dalla riesportazione o dal trasbordo”.
Anche per la dichiarazione dell’importatore, il Regolamento 2021/1079 individua quali documenti producibili, inter alia, cataloghi d’asta, fatture di vendita, documenti assicurativi e di trasporto e titoli di proprietà (compresi i testamenti).
Per ciascuno dei beni culturali deve essere presentata una dichiarazione distinta, fatta eccezione per le monete antiche purché di medesimo valore, origine e composizione.
Le deroghe ai nuovi obblighi
Restano esclusi dai nuovi obblighi di rilascio di una licenza di importazione o della presentazione di una dichiarazione dell’importatore i beni culturali che: (i) sono reintrodotti nel territorio doganale dell’Unione ex art. 203 del Codice doganale dell’Unione; (ii) sono importati da paesi in cui è in corso un conflitto armato o una catastrofe naturale al fine esclusivo di garantire la loro custodia in UE da parte di un’autorità pubblica (o sotto la sua supervisione); (iii) vengano ammessi per finalità, inter alia, di restauro, di ricerca e di prestito temporaneo di beni culturali appartenenti alle collezioni permanenti di musei e istituzioni analoghe di paesi terzi a favore dei loro equivalenti europei, così che questi ultimi possano esporli al pubblico o utilizzarli in rappresentazioni artistiche. Per accedere al regime derogatorio, le istituzioni devono registrarsi al ICG, ivi inserendo una descrizione dettagliata dei beni culturali prima di presentare relativa dichiarazione doganale.
È infine prevista un’ulteriore deroga per i soli beni culturali indicati nella parte B dell’allegato che, vincolati in regime doganale di ammissione temporanea, sono importati per essere esposti con finalità di vendita nell’ambito di fiere d’arte commerciali di durata limitata ed accessibili al pubblico. In tal caso, l’obbligo di richiedere il rilascio di una licenza di importazione viene convertito nell’onere di presentare di una dichiarazione dell’importatore. Giova tuttavia sottolineare che, qualora il bene culturali esposto in resti in UE al termine della fiera commerciale, tornerà l’obbligo di ottenere la licenza di importazione per il medesimo bene.
Conclusioni
Alla luce della complessità degli adempimenti richiesti e delle lunghe tempistiche spesso imposte dalle difficoltà della Pubblica Amministrazione nel gestire la mole di richieste provenienti dalla società, è fondamentale che gli operatori del mercato dell’arte si attivino con sollecitudine per garantire un adeguato e tempestivo allineamento ai nuovi obblighi regolamentari. L’adozione di misure preventive, tra cui l’aggiornamento delle procedure interne e la formazione del personale, rappresenta un passo imprescindibile per evitare rischi di rallentamenti operativi.