Da rigogliosa isola dell’Oceano Pacifico a una delle terre più inospitali dell’intera regione, secondo quanto riportato dall’esploratore James Cook al suo sbarco nel marzo del 1774. La causa? L’intensa deforestazione, che portò gradualmente all’esaurimento delle risorse naturali e che rese gradualmente proibitive le condizioni di vita per i suoi abitanti. È la storia dell’Isola di Pasqua, secondo gli studiosi “un esempio da non seguire”: come evitare di ripetere lo stesso errore?
L’Isola di Pasqua e l’esaurimento delle risorse
Colonizzata per la prima volta dai polinesiani intorno al 900 d.C., oggi l’Isola di Pasqua è famosa in tutto il mondo per i circa mille moai presenti sul suo territorio, gigantesche teste intagliate nel tufo locale dagli usi e destinazioni attualmente ancora sconosciuti. Noto, però, è l’utilizzo di ingenti quantità di legname per la costruzione e lo spostamento dei moai, necessità che portarono in fretta al disboscamento quasi totale dell’isola attorno al 1400 d.C, che portò all’eliminazione della ricca foresta di palme presenti in origine. La scarsità di legname, oltre a generare una serie di violente lotte civili nei due secoli successivi, contribuì all’utilizzo di erbe e cespugli come combustibili alternativi da parte della popolazione. In poco più di 700 anni, la presenza dell’uomo portò all’eccessivo utilizzo (e conseguente esaurimento) delle risorse naturali dell’isola.
Esaurimento delle risorse, una minaccia per la società
“L’esaurimento delle risorse globali è una delle quattro principali minacce per la società”, spiega lo studioso e premio Pulitzer Jared Diamond. “Un processo lento, la cui graduale tendenza al deterioramento può essere fin troppo facile da non notare fino a quando il danno non è stato fatto”, aggiungono gli esperti di Pictet Asset Management. “A prima vista, la sfida del cambiamento climatico può sembrare quasi insormontabile: convincere 215 paesi nel mondo ad accettare di lavorare insieme per risolvere i problemi globali. Ma in pratica può essere molto più semplice”, continua il gestore svizzero. “Una manciata di paesi rappresenta la maggior parte del consumo mondiale di risorse naturali e produce la maggior parte delle emissioni nocive: Stati Uniti, Cina, Unione Europea, India e Giappone sono infatti responsabili del 62% della produzione mondiale di CO2”. La speranza, secondo Diamond, non è ancora persa: “se si riuscisse a ottenere un accordo tra solo cinque paesi, ci saremmo già occupati di più della metà del consumo di risorse al mondo”. Riuscirà l’uomo a sopravvivere al 21° secolo?