Avviare un business? Per le donne resta una corsa a ostacoli

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Sda Bocconi ha condotto un’indagine sulle sfide che affrontano le startupper, dagli stereotipi di genere all’accesso ai finanziamenti fino all’equilibrio precario tra vita lavorativa e personale. Greta Nasi, direttrice scientifica di Tech with her, racconta a We Wealth i risultati della ricerca. E alcune possibili soluzioni

Sda Bocconi ha condotto un’indagine sulle sfide che affrontano le startupper, dagli stereotipi di genere all’accesso ai finanziamenti fino all’equilibrio precario tra vita lavorativa e personale. Greta Nasi, direttrice scientifica di Tech with her, racconta a We Wealth i risultati della ricerca. E alcune possibili soluzioni

In media i finanziamenti raccolti dalle startup femminili sono lievemente più bassi rispetto alla media generale (2,67 milioni contro i 2,83 milioni del campione complessivo)

Nasi: “Le neo imprenditrici dovrebbero effettuare un adeguato screening dei finanziamenti, facendo leverage su fonti diverse”

Le donne che decidono di avviare una startup non lo fanno solo perché convinte di aver avuto un’idea innovativa. Forte è il desiderio di generare un impatto sociale e, in molti casi, di cambiare lavoro. Più degli uomini, almeno. C’è chi mostra una particolare inclinazione all’imprenditorialità o ambizione economica e chi si ritrova a fare impresa per esigenze familiari, come la perdita di lavoro o la maternità. Qualsiasi sia la motivazione, però, nell’esecuzione del progetto le donne si scontrano con una serie di difficoltà; a partire dall’accesso alle risorse. Secondo un’indagine condotta nell’ambito del progetto Tech with her 2023 da Sda Bocconi School of management, i finanziamenti raccolti dalle startup femminili sono lievemente più bassi rispetto alla media generale (2,67 contro i 2,83 milioni). Ma se gli uomini percepiscono il fundraising come l’attività più complessa, le donne dichiarano che sia molto più difficile ottenere fiducia e credibilità

“Il tema dei finanziamenti è principalmente legato all’accesso al network”, spiega a We Wealth Greta Nasi, professoressa associata del dipartimento di scienze politiche e sociali presso l’Università Bocconi e direttrice scientifica di Tech with her. “Considerato che le donne mostrano una maggiore propensione a creare startup con persone del proprio network, hanno meno possibilità degli uomini di accedere a reti più ampie, in cui ci siano anche venture capitalist e finanziatori”. Un secondo aspetto, continua Nasi, è legato all’execution. “Dall’analisi emerge come gli uomini incontrino maggiori difficoltà nella raccolta dei fondi mentre le donne, nel momento in cui hanno accesso al soggetto finanziatore o allo strumento finanziario adeguato, rivelano una maggiore propensione a sviluppare la proposta in modo efficace ed evidenziano piuttosto tra gli ostacoli questioni legate alla gestione del tempo e dei clienti, dovendo coniugare la professione con la vita personale”, racconta Nasi. 

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Affrontare queste sfide è essenziale per promuovere un ambiente imprenditoriale più equo e inclusivo, spiega l’esperta. Il supporto finanziario e servizi di mentorship specificamente rivolti alle imprenditrici potrebbero “giocare un ruolo fondamentale nel promuovere una cultura imprenditoriale che valorizzi le diverse prospettive e competenze delle donne”, aggiunge Nasi. “Progetti di questo tipo potrebbero agevolare tra l’altro quel salto culturale che consentirebbe a chiunque di sviluppare un’apertura a cogliere qualsiasi tipo di idea, indipendentemente dal genere. Un aspetto essenziale dal mio punto di vista”. 

Il valore della raccolta media delle startup sottolinea il potenziale delle donne nell’attrarre investimenti significativi. Ma, si legge nell’analisi, la leggera differenza a favore degli uomini potrebbe riflettere pregiudizi di genere che resistono e che influiscono sulla percezione della rischiosità delle startup guidate da donne. Inoltre, una sottorappresentazione di donne nei panel di investitori potrebbe a sua volta incidere negativamente sulla dinamica. Quanto invece ai finanziamenti pubblici, per Nasi è fondamentale porre l’enfasi sui criteri, affinché tengano conto delle caratteristiche specifiche delle imprese al femminile (come l’età media delle fondatrici, che il rapporto rivela essere di circa 38 anni). “Le neo imprenditrici, dal loro canto, dovrebbero effettuare un adeguato screening dei finanziamenti, costruendo piani strutturati e solidi che consentano loro di fare leverage su fonti diverse”, conclude Nasi.

Articolo tratto dal n° di gennaio di We Wealth.

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