Cina e Giappone: una storia economica comune? Occhio a 3 fattori

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L’economia cinese sta entrando in un territorio scivoloso con un rallentamento della crescita, calo della fiducia e crisi del mercato immobiliare. Il Dragone sta volando verso la spirale in cui è caduto il Giappone negli anni ’80? Capital Group analizza similitudini e differenze tra i due paesi

Un periodo prolungato di deflazione, rallentamento dell’economia, declino del mercato immobiliare e stress dei mercati finanziari, mentre famiglie, aziende e governi cercano di ridurre l’eccesso di leva finanziaria. Sono tutti segnali di una “malattia” da cui tutti i paesi vorrebbero tenersi lontani: la giapponesizzazione. Conoscendo i sintomi, è possibile prevedere quale sarà il prossimo paese che verrà contagiato? E, soprattutto, si tratta di un malessere degenerativo o, una volta riconosciuto, è possibile trovare una cura?

Dopo un anno di falsa ripartenza, le preoccupazioni per il rallentamento della crescita cinese stanno crescendo e, con loro, si stanno moltiplicando gli studi che paragonano la situazione del Dragone alla profonda stagnazione che ha travolto il Giappone negli ultimi decenni. La situazione di Pechino non è ancora così grave, eppure “la debolezza della fiducia e degli investimenti, oltre al potenziale di stimolo attualmente limitato, potrebbero creare la stessa sovraccapacità e il ridimensionamento delle aspettative che hanno portato alla spirale in Giappone”, secondo Anne Vandenabeele, economist di Capital Group.

Sembra chiaro che la contrazione della forza lavoro imporrà un freno alla crescita in Cina, proprio come è successo in Giappone, soprattutto a partire dal 2045, quando la popolazione in età lavorativa diminuirà drasticamente. Allo stesso tempo, non si possono ignorare le condizioni in cui si trova il mercato immobiliare cinese. Tuttavia, si tratta solo di alcuni tra i tanti fattori che causano il rallentamento dell’economia. Per capire in quale posizione si trova veramente il Dragone, l’esperta ha ripreso la storia del Giappone, analizzandone i tre aspetti cruciali e paragonandoli a quello che oggi vive la Cina.

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Rallentamento della crescita

A partire dagli anni ’70, il paese del Sol Levante ha subito un drastico rallentamento della crescita a lungo termine e, recentemente, anche la Cina sembra trovarsi sullo stesso percorso: anche escludendo il 2020, che è stato effettivamente un annus horribilis, la crescita negli ultimi anni si è attestata intorno al 5%-6% e, per il 2024, è prevista in discesa al 4,5%. Non ci sono dubbi sul fatto che la crescita a lungo termine stia rallentando, ma non in modo così marcato come era accaduto in Giappone. Si potrebbe trattare di una stabilizzazione della crescita, sintomo di trasformazione in economia più matura. La Cina si trova, infatti, in una posizione di partenza ben diversa, “la quota degli investimenti sul Pil è ancora vicina al picco del 45% e un declino strutturale di questo numero non avverrà rapidamente. Tuttavia, la crescita dello stock di capitale cinese è già rallentata, in parte a causa del rallentamento del settore immobiliare”, spiega l’esperta.

Il secondo fattore che aveva affossato la crescita del Giappone riguarda il rapporto con gli Stati Uniti: a partire dagli anni ’60 gli States hanno esercitato pressioni sul paese del Sol Levante affinché facesse concessioni significative per ridurre il surplus commerciale, causando l’apprezzamento dello yen e il fatto che grandi nomi dell’industria nipponica, come Hitachi e Toshiba, fossero costantemente nel mirino della sicurezza nazionale statunitense per ottenere concessioni su quote di mercato e brevetti.

La situazione cinese è invece molto diversa: sebbene la spinta verso una maggiore resilienza della catena di approvvigionamento e le strategie Cina +1 stiano incoraggiando la concorrenza, il paese offre una produzione enorme e costi più bassi per molti prodotti. In oltre il Dragone ha finora resistito a un rafforzamento dello yuan e si sta muovendo per sviluppare aziende molto competitive nel settore tecnologico e delle nuove energie.

Ripresa lenta e un eccesso di capacità

Il Giappone è stato molto lento nel reagire al nuovo ordine economico, quindi la riduzione della leva finanziaria, la debolezza degli stimoli e la lentezza della ripresa hanno provocato un rallentamento della domanda, creando sovraccapacità e deflazione. Ad oggi gli squilibri in Cina non sono così profondi, ma la debolezza nella fiducia dei consumatori, il rallentamento degli investimenti e gli stimoli ancora limitati che arrivano da Pechino potrebbero portare alle stesse condizioni. L’esperta osserva che la crisi immobiliare e l’inasprimento del controllo statale hanno rallentato significativamente la crescita dal 2017, al punto che l’eccesso di investimenti residenziali sembra peggiore in Cina rispetto al Giappone.

Guardando al settore delle imprese, “la solvibilità delle imprese cinesi appare più solida rispetto al Giappone degli anni ’90 e la Cina ha probabilmente una maggiore capacità di forzare la riduzione della leva finanziaria, se necessario, grazie agli ampi bilanci delle banche di proprietà delle aziende di Stato, nonché di acquistare potenzialmente le attività deteriorate per evitare una contrazione del credito”, suggerisce Vandenabeele.

Ridimensionamento delle aspettative

La lenta ripresa del Giappone ha portato a un ridimensionamento delle aspettative e della produttività, mentre la lentezza con cui Tokyo ha proceduto alle svalutazioni ha permesso a grandi aziende non redditizie di restare comunque a galla, così le cosiddette ‘aziende zombie’ hanno intrappolato molto risorse in settori che avrebbero dovuto essere produttivi, come quello dei servizi. Guardando alla Cina, le stime del Fondo Monetario Internazionale mostrano che la quota di questo tipo di aziende è in aumento, anche se i livelli sono ben lontani da quelli del Giappone degli anni ’90. La distruzione della produttività parte dalle grandi imprese statali che sono poco efficienti, a discapito delle piccole aziende private innovative che vengono escluse. Uno dei rischi più importanti che il Dragone si trova davanti è quello di ritrovarsi con un mercato azionario biforcato, con grandi imprese nazionali sovvenzionate e inefficienti da una parte, ed esportatori diversificati e innovatori altamente efficienti come Huawei dall’altra. La differenza con il Giappone è che i vincitori delle industrie strategiche cinesi potrebbero essere sempre più fuori dalla portata degli investitori globali se le restrizioni tra Stati Uniti e Cina aumenteranno.

Tutti questi problemi non sono sconosciuti a Pechino, anzi. Proprio a dicembre, durante la Conferenza sul lavoro economico del Partito Comunista Cinese, dove viene stabilita l’agenda per il nuovo anno, i rappresentati del partito hanno dato priorità alla costruzione di un sistema industriale modernizzato, caratterizzato da innovazione scientifica e tecnologica, senza dimenticarsi dell’espansione dei consumi interni e la ripresa del settore immobiliare.

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