Proviamo a vedere la questione da un altro punto di vista. Se dico trend nel settore finanziario, è probabile che vi venga in mente la sostenibilità, l’avanzata dei prodotti passivi (e a basso costo), le strategie di allocazione del portafoglio alternative a quelle tradizionali. Gli indici permettono di guardare alle tendenze in atto in modo diverso e rappresentano anche un parametro di riferimento per valutarne gli sviluppi.
Indici sostenibili e strategie di investimento
Prendiamo ad esempio il trend degli investimenti socialmente responsabili. L’offerta di fondi ed Etf costruiti secondo criteri ambientali, sociali e di governance (Esg) è in crescita. Nei primi sei mesi del 2019, sono stati lanciati 168 prodotti di questo tipo, che si sommano ai 305 del 2018. Ma dietro a questi dati, ci sono una varietà di strategie e di indici. Ci sono benchmark che si limitano ad escludere determinati settori, come ad esempio il carbone, le armi o il tabacco; altri che integrano i fattori Esg nella costruzione del loro paniere con l’obiettivo di creare valore aggiunto (in termini tecnici alpha) o mitigare i rischi; altri infine sono tematici (l’acqua, le energie alternative, ecc.). Questi indici rispecchiano tipologie diverse di investitori: c’è chi per ragioni valoriali non vuole esporsi a determinate industrie, chi pensa che la sostenibilità migliori il profilo di rischio/rendimento del suo portafoglio e chi vuole contribuire a finanziare il cambiamento nei modelli di sviluppo. Allo stesso tempo, ci permettono di vedere le differenze tra gli strumenti sostenibili e di confrontare i loro panieri con quelli dei benchmark a capitalizzazione tradizionale.
Un’analisi condotta da Dan Lefkovitz, strategist di Morningstar Indexes, che sarà presentata alla Mic (Morningstar investment conference) di Milano il 6 novembre, rivela che la maggior parte degli indici proprietari basati su criteri Esg ha un vantaggio competitivo rispetto a quelli large-mid cap tradizionali, come si può vedere nel grafico qui sotto.
Confronto tra le performance degli indici Morningstar sostenibili e a capitalizzazione
Gli smart non sono tutti uguali
Con le “nuove” lenti potremmo anche leggere l’evoluzione del mercato degli Etf, verso la replica di indici non a capitalizzazione. Comunemente si parla di smart beta, anche se Morningstar preferisce definirli strategic beta perché si pongono l’obiettivo di migliorare il profilo di rischio/rendimento rispetto ai benchmark tradizionali. In Europa, il segmento è cresciuto in modo significativo dall’inizio del nuovo millennio fino a fine 2017, mentre nel 2018 ha cominciato a dare segni di maturità. La quota di strategic beta sul mercato degli Etf rappresenta poco meno dell’8%, confrontato con una percentuale quasi nulla di 13 anni fa. A fronte di un certo affollamento di strumenti con focus su un solo fattore (ad esempio i dividendi o la volatilità), negli ultimi tempi si è assistito al lancio di prodotti multi-fattoriali, il cui sviluppo, secondo i ricercatori di Morningstar, potrebbe continuare perché permette una maggior differenziazione tra emittenti in forte competizione tra loro. Considerata la complessità del mercato, solo la conoscenza dell’indice sottostante può aiutare l’investitore a capire cosa ha messo in portafoglio e perché dietro a etichette simili ci siano risultati diversi, come si può vedere dal confronto delle performance dei due Etf low volatility qui sotto.