I mercati del lusso in Italia hanno dimensioni ridotte, il settore tessile italiano è frammentato, creare due gruppi di caratura mondiale come Lvmh e Kering è molto difficile, «ma con la pandemia le dimensioni sono diventate importanti». Ciò che in Italia è sottovalutato rispetto all’esperienza francese» aggiunge Alessandra Gritti di Tip Tamburi Investment, «è il capitale: al di là delle aziende, in Francia la differenza l’ha fatta la finanza», la capacità di finanziarsi per linee esterne, un aspetto in cui il nostro paese è molto debole. «Non è un caso che una serie di marchi italiani che non andavano bene, inseriti in questi gruppi, grazie agli investimenti, si siano ripresi». Un altro punto debole dell’Italia è «la distribuzione, qualcosa su cui noi siamo rimasti indietro», conclude Alessandra Gritti.
Emanuela Prandelli, LVMH Associate Professor of Fashion and Luxury Management at Bocconi University – MAFED Director at SDA Bocconi si concentra sulla capacità di conquistare la generazione Z. La moda serve per segnalare uno status: Gucci è stato fra i primi a cavalcare il tema dell’inclusività, Stella McCartney quello della sostenibilità. La possibilità di identificarsi in un brand passa non tanto per collezioni impeccabili e interessanti per l’architettura del prodotto quanto per i valori. Si pensi alla gamificazione della moda, alla diffusione delle piattaforme di noleggio. I centennial sono meno legati all’idea del possesso, e più a quella dell’utilizzo, della personalizzazione. Non basta l’esclusività: serve l’unicità (offerta per esempio dal vintage). Non bisogna però eccedere nella personalizzazione, «troppa penalizza, perché serve identificazione. Siamo davanti a un consumatore phygital, il canale fisico non perde di importanza, ma deve diventare piattaforma per canalizzare esperienze: si pensi a Vuitton, che ha usato i Pokemon per riportare i clienti nel negozio fisico».