Il giardino delle fate, 1913, trittico realizzato dall’artista Vittorio Zecchin, è al centro di un caso che coinvolge il critico Vittorio Sgarbi e che sta assumendo i contorni neri dei reati collegati alle opere d’arte. Secondo quanto riportato dalla stampa (Il Fatto Quotidiano e la Repubblica) la procura di Roma sta scandagliando la transazione che ha riguardato la vendita dell’opera in quanto presenterebbe diversi profili penalmente rilevanti.
Tale attività di indagine ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio di Vittorio Sgarbi a inizio anno per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Ora, una nuova contestazione della stessa procura ipotizza il reato di induzione indebita per aver esercitato pressioni, nella sua qualità di sottosegretario alla cultura e di deputato del Gruppo Misto (e dunque anche pubblico ufficiale) all’epoca dei fatti, nei confronti di alcuni funzionari del suo ministero affinché non fosse esercitato il diritto di prelazione sull’opera.
Il giardino delle fate e l’inizio dei guai per Sgarbi
La vicenda prende avvio nel giugno 2020 con l’aggiudicazione in asta dell’opera Il giardino delle fate, 1913 di Vittorio Zecchin presso la casa d’aste Della Rocca di Torino. L’opera viene battuta per 148 mila euro partendo da una stima di 90 mila – 120 mila euro. Ad aggiudicarsi il lotto è Sabrina Colle, compagna di Vittorio Sgarbi ma i sospetti della procura portano a ritenere che il reale beneficiario fosse lo stesso Sgarbi.
Tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 l’allora sottosegretario, preoccupato dalla possibilità che il suo ministero potesse avviare la dichiarazione di interesse culturale sull’opera, avrebbe esercitato presunte pressioni nei confronti di alcuni funzionari per evitare l’avvio della procedura di notifica. Nel caso dell’artista Vittorio Zecchin (Murano 1878–1947) il ministero aveva infatti già “notificato” almeno un’altra sua opera, Due santi in preghiera, per cui il dipinto in questione era quanto meno sotto esame dei funzionari visto il valore economico della stessa e lo spessore del suo autore.
La dichiarazione di interesse culturale e le conseguenze per i proprietari
L’artista ha un ruolo riconosciuto nella storia delle arti decorative per la sua capacità di mettere in relazione la pittura, il vetro e il mondo delle arti applicate. La dichiarazione di interesse culturale sull’opera, in caso positivo, avrebbe comportato la notifica all’aggiudicatario del divieto di espatrio del bene e del diritto di prelazione a favore dello Stato sulla vendita. La procedura attribuisce infatti al Ministero dei beni culturali poteri di vigilanza, controllo e ispezione sullo stato di conservazione del bene ma soprattutto si accompagna al divieto di portare all’estero l’opera, fatta eccezione per gli spostamenti temporanei per mostre o altre situazioni per le quali si rende comunque necessaria una specifica autorizzazione della Soprintendenza competente. Oltre a queste limitazioni, la dichiarazione di interesse culturale prevede il diritto che consente al ministero, o ad altro ente pubblico interessato, di esercitare la facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione (art. 60 del Codice dei beni culturali). I funzionari del ministero avrebbero quindi ricevuto telefonate incalzanti da parte di Sgarbi e alla fine avrebbero rinunciato ad avviare la procedura per la notifica.
Sgarbi e l’accusa di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte
Non accade nulla fino a marzo 2024 quando la Procura di Roma presenta richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Vittorio Sgarbi per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Nell’ipotesi accusatoria, ancora da accertare giudizialmente, Sgarbi sarebbe stato l’effettivo beneficiario del dipinto acquistato all’asta dalla compagna – solo formalmente aggiudicataria dell’opera – utilizzando denaro proveniente da una terza persona per il pagamento. Tutto ciò in modo da sottrarre l’opera alla fase di riscossione delle imposte avviata nei suoi confronti per un debito tributario di 715 mila euro per imposte. Il pagamento del lotto, si difende Sgarbi, sarebbe stato effettuato, da Corrado Sforza Fogliani, avvocato cassazionista e banchiere nel frattempo deceduto nel 2022, che avrebbe poi donato l’opera alla sua compagna Colle reale aggiudicataria del bene all’incanto.
L’ultimo atto: Sgarbi e il reato di induzione indebita
E si arriva così all’ultimo atto di questa intricata vicenda che nelle settimane scorse avrebbe portato la procura romana a una nuova contestazione nei confronti di Sgarbi. Ora la procura, proprio con riferimento alle pressioni fatte tra il 2020 e il 2021, gli contesta il reato di induzione indebita commessa affinché i funzionari non avviassero la procedura di notifica sull’opera che invece il Mibac aveva intenzione di avviare.
In copertina: Vittorio Zecchin, Il giardino delle fate (1913). Courtesy Artnet