Gli investitori italiani sono piuttosto avversi al rischio. Ma è anche vero che sono molto interessati a proteggere la loro ricchezza. In che modo queste attitudini si rendono compatibili con gli investimenti in vino?
“Il vino di alta gamma ha dimostrato di essere una eccellente riserva di valore negli ultimi tre decenni, e nei fatti le quotazioni dei vini migliori al mondo sono aumentate più velocemente del tasso di inflazione in questo periodo di tempo. Si tratta di una considerazione importante, nelle condizioni economiche che si stanno presentando nel 2022″.
“Ulteriore supporto alle credenziali del vino da investimento per individui avversi al rischio arriva dalla natura reale dell’asset, che in quanto tale non varrà mai zero come in teoria può succedere ad azioni, obbligazioni o derivati. Investendo nel vino di lusso (ovvero circa l’1% migliore di tutto il vino prodotto a livello globale) si acquista un prodotto che viene domandato costantemente, persino in tempi economicamente turbolenti o incerti”. A tal proposito, si riporta che nei periodi più cupi della pandemia il Liv-ex (London International Vintners Exchange) 1000 è scivolato del 4%, mentre l’S&P 500 sprofondava del 25%. Lo stesso accadde durante la crisi del 2008, con il Liv-ex che quasi manteneva la parità con un -0,6%: una vittoria, se confrontata con il -38% dell’indice azionario più noto di Wall Street (dati Oeno Group)”.
Esiste in Italia un mercato robusto per il fine wine?
“L’Italia è un mercato sofisticato per quanto riguarda il consumo di vino; del resto il vostro paese ne è indiscutibilmente il secondo produttore più importante al mondo (dopo la Francia); è un produttore cruciale per il vino di fascia alta, con profonde radici nella cultura enologica, e nella manifattura di lusso in generale. In Italia non solo c’è cultura del buon vino, ma anche una offerta sostanziosa di vini francesi (soprattutto lo champagne, amatissimo in Italia) e da altre parti del mondo”.
Com’è andato il mercato del vino nel nostro paese durante la pandemia?
“Gli investimenti in vini di lusso sono esplosi durante la pandemia, per molte ragioni. In primo luogo bisogna considerare che per le persone più abbienti il buon vino ha rappresentato una delle poche esperienze lussuose che si potevano godere pure nei periodi più duri del lockdown. Inoltre, tutti i grossisti erano chiusi, con la conseguenza che i produttori cercavano di piazzare il vino ai clienti finali tramite canali alternativi di distribuzione (il web e offerte interessanti, ndr). Il terzo motivo che ha influito positivamente sul fine wine è stata la liquidità massiccia immessa dalle banche centrali nel sistema economico. Lo champagne ha performato benissimo, aumentando il suo valore di oltre il 50%. Anche il burgundy e il vino italiano hanno registrato una forte performance”.
Investire in vino comporta un cambiamento culturale nell’asset management?
“Dipende. L’investimento in vino può essere approcciato come quasi ogni altro asset finanziario, ma gli investitori devono essere consapevoli che il mercato può essere relativamente illiquido: il che vuol dire che per la monetizzazione dell’asset si possono aspettare anche molti mesi; a volte anni. In questo senso, le transazioni sui vini possono essere assimilabili a quelle del mercato immobiliare. Ciò significa che gli investitori dovrebbero adottare un approccio all’investimento di termine più lungo rispetto ad altri asset. Perciò noi consigliamo un orizzonte di almeno cinque anni. È anche vero che ultimamente sono stati realizzati guadagni significativi persino in 12-18 mesi; ma questa è piuttosto un’eccezione che la regola. Alcuni lamentano che il vino non è più una bevanda di mero piacere, e che i vini migliori sono sempre più appannaggio esclusivo dei più ricchi. Questa visione però non considera che la qualità complessiva del vino è in aumento e che ogni anno fanno la loro comparsa nuove interessanti opportunità di bere”.
Qual è il ticket minimo per entrare in un fondo di investimento in vino?
“Abbiamo alcuni investitori che allocano solo 3000 euro negli investimenti in vino; ma un taglio così piccolo limita l’esposizione sia alla diversificazione che ai migliori vini esistenti, i quali possono godere di bassi profili di rischio e rendimenti elevati. Tutto ciò mi porta a dire che investire in vini diventa interessante dai 25.000 euro in su”.
Cosa suggerirebbe ai nostri lettori interessati ad avvicinarsi agli investimenti in vini di lusso per la prima volta?
“Di effettuare una vera e propria due diligence, ricercando società con ottima reputazione, magazzino fisico e visibilità. Poi, di essere preparati a tenere l’investimento fermo per almeno cinque anni e a ottenere un realizzo in tranche, spalmato su molti mesi. A meno che non si sia profondamente competenti e ben informati, un investimento in vino dovrebbe far parte di una strategia di investimento più generale e differenziata su più asset. Suggerisco di migliorare la propria del settore iscrivendosi ad alcuni siti che recensiscono i migliori vini al mondo e che pubblicano articoli di approfondimento. E di essere sempre consapevoli di quale sia il proprio scopo nell’investimento in vino”.
Un’ultima domanda: considerando barrique e bottiglie, quali fra le due meglio si adattano a un investitore (o a un risparmiatore…) spaventato dall’aumento dell’inflazione?
“Senza dubbio le bottiglie. Le botti rappresentano una nicchia del mercato, di difficile accesso, con maggiori esposizioni di costo e rischio di concentrazione. Le bottiglie sono conosciute, universalmente scambiate e hanno un marchio più riconoscibile; ad oggi, sono la parte più liquida del mercato degli investimenti in vino”.