A volte il passato offre spunti di grande attualità: non fa eccezione il settore fiscale, come mi sforzerò di dimostrare qui di seguito.
Partirei con un virgolettato: “Le nuove disposizioni sono finalizzate ad incentrare l’attività di controllo nei confronti di intere categorie economiche… Il perseguimento di tale obiettivo impegnerà l’Amministrazione finanziaria in progressivi interventi sistematici nei confronti di interi settori di attività; nell’attuale fase di avvio sono prese in considerazione le seguenti categorie: odontoiatri, odontotecnici e amministratori di condominio”.
Ed ancora, con termini perentori: “Tutti i soggetti esercenti le suddette attività dovranno essere oggetto di controllo”.
Il tema del controllo dei contribuenti italiani
Controllare tutti (dicasi tutti) i contribuenti italiani che svolgono una (o più) delle tre attività? Pura follia.
L’iniziativa – correva l’anno 1994 – infatti naufragò, complice la caduta di lì a poco del primo governo Berlusconi, grazie anche alla furiosa polemica circa la sospetta illegittimità dell’iniziativa – dell’allora ministro delle finanze Giulio Tremonti – rispetto alla scelta, ritenuta discriminatoria, delle prime tre categorie da sottoporre ad un controllo fiscale a tappeto.
La citazione, per i cultori della materia, è tratta dalla circolare 23 settembre 1994 n. 172 della Direzione centrale accertamento e programmazione del Ministero delle finanze (allora non esisteva ancora l’Agenzia delle entrate).
Orbene, questo reperto di archeologia fiscale, per quanto rimasto pura teoria, e quindi privo di riscontri pratici di cui fare tesoro per il futuro, non è da guardare come un maldestro tentativo di sradicare l’evasione fiscale dal belpaese; al contrario, a modesto avviso di chi scrive, è l’unica via concreta per far pagare le tasse agli italiani.
La tassazione di massa: un efficace strumento di contrasto all’evasione
Del resto, nessuna forza politica si sognerebbe mai di proporla oggi, pena un’emorragia immediata e copiosa di voti, ma proprio per questo meritevole di non essere scartata a priori.
Evitate certe facili polemiche (le categorie economiche dovrebbero essere estratte a sorte, o selezionate in base alla rischiosità da un apposito algoritmo), potrebbe in realtà rivelarsi un efficace strumento di contrasto all’evasione, anche perché, rispetto a trent’anni fa, può avvalersi di una rivoluzione digitale da tempo avviata, e in grado di gestire facilmente i cosiddetti “big data”.
Sapere con certezza che prima o poi si verrà controllati, perché è già realmente accaduto ad altre categorie, è il più forte deterrente all’evasione che si possa immaginare.
Si dirà che, ancora una volta, l’obiettivo è velleitario, banalmente perché il numero di contribuenti è ingestibile: ma anche solo un questionario, inviato via pec a tutti gli odontoiatri (categoria oramai storicamente abituata alla persecuzione tributaria), li incoraggerebbe a una maggiore lealtà fiscale (ove mai ve ne fosse bisogno).
È stato anche rilevato come l’amministrazione finanziaria disponga di numerose banche dati (tra le quali quella relativa ai dati finanziari di tutti i contribuenti italiani) che non si parlano tra loro e che sono particolarmente depotenziate dalla normativa sulla privacy (la cui violazione, nel mondo del web, ha comunque caratteri tanto estesi quanto preoccupanti, con l’aggravante che il web non dimentica mai).
Non è il caso allora di sacrificare un poco di privacy, così come riteniamo utile mantenere in vita le intercettazioni telefoniche, per quanto massicce e costose?
Visto poi che si torna a parlare di riforma fiscale (a proposito di archeologia: il viceministro Leo propone tre aliquote Irpef, mentre il ministro Tremonti, molti anni fa, aveva fatto di meglio, illudendoci di ridurle a due), potrebbe essere il caso di ripensare in profondità il sistema di tassazione, che, sin dalla riforma fiscale dei primi anni ’70, si basa sull’autoliquidazione delle imposte – in altri termini, i contribuenti devono calcolare le imposte (a proprio rischio e pericolo), attraversando la famigerata giungla normativa.
Forse si potrebbe immaginare – anche grazie alla notevole informatizzazione già raggiunta dall’amministrazione finanziaria e a una futura riforma fiscale che auspicabilmente sacrifichi un poco di equità “bizantina” in favore di una semplicità più “rozza” – un sistema dove le imposte siano liquidate dall’amministrazione stessa, sulla base di dati raccolti “on-line” presso i contribuenti, imprese incluse.
La dichiarazione dei redditi “precompilata”, così come la fattura elettronica, si sono rivelate ottime iniziative, che mi pare vadano nella stessa direzione.