Ai sensi dell’art. 463 del codice civile, è indegno colui che
- ha volontariamente ucciso, o tentato di uccidere, il de cuius, ovvero il coniuge, un discendente o un ascendente del medesimo (purché non vi siano cause di esclusione della punibilità);
- ha commesso, nei confronti dei predetti soggetti, un fatto per la quale la legge applichi le disposizioni sull’omicidio;
- ha denunciato i predetti soggetti di un reato punibile con l’ergastolo o con reclusione non inferiore a tre anni, se la denuncia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale, ovvero ha reso falsa testimonianza contro le medesime persone accertata con giudizio penale;
- è decaduto dalla responsabilità genitoriale del de cuius ai sensi dell’art. 330 del codice civile e non è stato reintegrato;
- ha indotto, con dolo o violenza, il de cuius a fare, modificare o revocare il testamento (ovvero l’ha impedito);
- ha soppresso, celato o alterato il testamento del de cuius;
- chi ha formato testamento falso e ne ha fatto scientemente uso.
L’elenco che precede ha carattere tassativo e non è suscettibile di interpretazione analogica. L’indegnità a succedere, pur essendo operativa “ipso iure“, non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere dichiarata su domanda dell’interessato.
La prova è molto rigorosa. E così nel giudizio per la dichiarazione di indegnità a succedere di colui che ha sottratto il testamento, l’attore ha l’onere di dimostrare il fatto della sottrazione ed il verosimile carattere testamentario del documento sottratto, mentre grava sul convenuto la prova dell’intrinseca natura del documento e del suo contenuto, specie se egli ne sia il detentore. La dichiarazione di indegnità a succedere per captazione della volontà testamentaria presuppone che la condotta dell’autore sia sorretta da dolo e richiede che venga allegata la prova dell’inganno subito dal testatore.
Prima dell’accertamento della causa di indegnità da parte del giudice – che, a seguito dell’accertamento, emetterà una sentenza avente natura costitutiva – si ritiene che il successore indegno conservi tutti i diritti nascenti dalla qualità di successibile, analogamente alla posizione dell’erede istituito sotto condizione risolutiva.
L’azione diretta a far valere l’indegnità, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, comporta il litisconsorzio necessario fra i chiamati alla successione, che dovranno tutti essere convenuti in giudizio (inclusi coloro che, se venisse accertata l’indegnità, riceverebbero in luogo dell’indegno). La Suprema Corte ritiene inoltre che legittimati attivi a chiedere l’accertamento della causa di indegnità siano solo i chiamati in subordine (e non chiunque vi abbia interesse), ovverosia coloro che, una volta escluso dalla successione l’indegno, riceverebbero quanto originariamente lasciato al medesimo; mentre legittimato passivo è solo l’indegno che abbia accettato l’eredità (o i suoi eredi). Si discute in dottrina se il termine di prescrizione debba essere quello ordinario decennale (con decorrenza dal giorno dell’apertura della successione, ovvero dal giorno della commissione del fatto se successivo all’apertura della successione), ovvero si tratti di un’azione imprescrittibile.
L’accertamento dell’indegnità comporta, in estrema sintesi, le seguenti conseguenze:
- quanto ricevuto dall’indegno viene devoluto ai chiamati in subordine;
- l’indegno sarà tenuto alla restituzione integrale dei frutti che sono pervenuti dopo l’apertura della successione (quelli effettivamente percepiti, e non i frutti percipiendi); la restituzione è integrale perché il possesso dell’indegno viene considerato dal legislatore come possesso in mala fede;
- per quanto riguarda gli atti dispositivi sui beni ereditari compiuti dall’indegno, occorre distinguere: quelli a titolo gratuito sono destinati a cadere; quelli a titolo oneroso – analogamente a quanto accade con l’erede apparente – sono fatti salvi a condizione che il terzo provi di aver contrattato in buona fede (che si ritiene esclusa se il terzo aveva semplice conoscenza della causa di indegnità);
- l’indegno, infine, è escluso dall’usufrutto legale e dall’amministrazione dei beni ereditari ogniqualvolta i medesimi beni vengano acquistati dai figli dell’indegno. L’usufrutto legale e l’amministrazione spetteranno al genitore non indegno o ad un curatore, se entrambi i genitori sono indegni (o manchi l’altro genitore).
L’indegno è suscettibile di riabilitazione: ai sensi dell’art. 466, primo comma del codice civile infatti “chi è incorso nell’indegnità è ammesso a succedere quando la persona, della cui successione si tratta, ve lo ha espressamente abilitato con atto pubblico o con testamento”. Con tale atto vengono completamente eliminate le conseguenze dell’indegnità (l’atto di riabilitazione può comunque perdere valore qualora si provi essere frutto di violenza, errore o dolo). La riabilitazione può essere anche parziale: ai sensi del secondo comma dell’art. 466 del codice civile “l’indegno non espressamente abilitato, se è stato contemplato nel testamento quando il testatore conosceva la causa dell’indegnità, è ammesso a succedere nei limiti della disposizione testamentaria”. È necessario che emerga dal testamento la conoscenza del testatore della causa di indegnità, e l’onere della prova è a carico dell’indegno.