La “floozy clause” di Rebecca Minkoff: di cosa si tratta
Ha suscitato particolare clamore, negli Usa, la recente dichiarazione dell’imprenditrice e fashion designer Rebecca Minkoff di avere inserito una “floozy clause” nelle proprie dichiarazioni di ultima volontà (dove per “floozy” si intende, secondo l’Oxford Dictionary, “a young woman who has many casual sexual partners or who dresses or behaves in a sexually provocative way”). E in Italia, cosa prevede la successione?
In buona sostanza, l’interesse della signora Minkoff – stando a quanto dalla stessa dichiarato – è che, qualora, dopo la propria morte o in caso di divorzio, il marito decida di accompagnarsi a una giovane e provocante signorina, tutti i propri beni siano attribuiti ai quattro figli di entrambi, in maniera tale che il nuovo partner non possa beneficiare in alcun modo della ricchezza tanto faticosamente guadagnata in decenni di attività imprenditoriale.
Floozy clause e diritto italiano: è possibile una clausola simile?
Al di là delle specificità di natura tecnico-legale, che gli articoli di stampa generalista su cui è comparsa la notizia della mossa di Rebecca Minkoff non consentono di appurare (sono, fra l’altro, utilizzati sia il termine di “will” – testamento – che quello di trust), lo spunto giornalistico è utile per operare una riflessione circa la possibilità di attuare una simile volontà in base alle norme di diritto italiano sulla successione.
Gli effetti di un eventuale divorzio sui rapporti patrimoniali e sulla successione
L’eventualità relativa al divorzio non pone tematiche particolari, essendo i rapporti patrimoniali tra i coniugi regolati dall’accordo assunto in tale sede (o, in difetto, dalla sentenza giudiziale di divorzio), nel quadro di norme e principi inderogabili.
Separazione e divorzio dei coniugi in regime di comunione dei beni
Qualora la coppia abbia scelto il regime di comunione legale dei beni, al momento del relativo scioglimento (che si verifica già con la separazione personale), a ciascun coniuge va assegnata la quota di sua spettanza sui beni, acquistati insieme o separatamente in costanza di matrimonio e caduti in comunione secondo quanto previsto dagli artt. 177 e 178 c.c., ferma restando la titolarità esclusiva dei beni personali indicati all’arti. 179 c.c..
Separazione e divorzio dei coniugi in regime di separazione dei beni
Mentre, nel caso (largamente prevalente) di separazione dei beni, i coniugi rimarranno titolari in via esclusiva dei beni che gli stessi hanno acquistato durante il matrimonio.
La comunione convenzionale
Vi è inoltre la possibilità (anche se ciò non è particolarmente diffuso) di stipulare con apposita convenzione matrimoniale forme di comunione “convenzionale” dei beni, che deroghino – all’interno della successione – alla disciplina codicistica della comunione legale (eccezion fatta per le regole su amministrazione dei beni e parità delle quote e con esclusione in ogni caso dei beni di cui all’art. 179 lett. c), d), e) c.c., i quali rimangono comunque personali).
L’assegno divorzile e l’assegno di mantenimento
Al coniuge economicamente più debole, il quale non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive, può inoltre essere attribuito – anche una tantum – il cosiddetto “assegno divorzile” (che ha presupposti e finalità differenti rispetto all’assegno di mantenimento concesso in sede di separazione), da quantificarsi tenendo conto, fra l’altro, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e della durata del matrimonio.
Il divorzio e il diritto all’assegnazione della casa familiare
Infine, a favore di quello fra i due coniugi con cui si sia stabilito che i figli convivano dopo il divorzio, spetta il diritto all’assegnazione della casa familiare, a prescindere dal fatto che lo stesso vanti diritti reali o di godimento sul bene e opponibile anche ai terzi previa trascrizione nei registri immobiliari.
Testamento sottoposto a condizione: limiti e validità
Più delicato è il tema riguardante la possibilità di far venir meno le attribuzioni testamentarie per l’eventualità in cui l’erede o il legatario compia una determinata condotta (nel caso di specie, accompagnarsi a una persona “non gradita” dal de cuius, per richiamare nell’ordinamento italiano quanto disposto da Rebecca Minkoff con la floozy clause)
Lo strumento offerto dall’ordinamento italiano è quello della disposizione sottoposta a condizione (art. 633 c.c., secondo cui “le disposizioni a titolo universale o particolare possono farsi sotto condizione sospensiva o risolutiva”).
Deve però trattarsi, come previsto dall’art. 634 c.c., di una condizione non solo possibile, ma che non si ponga in contrasto con norme imperative, l’ordine pubblico o il buon costume, pena l’invalidità della condizione stessa, che si avrebbe come non apposta (art. 634 c.c.).
L’intera disposizione sarebbe poi radicalmente nulla, se dal tenore del testamento risultasse che essa è sorretta da un motivo illecito e che quest’ultimo è stato la sola ragione che ha spinto il de cuius a prevederla (art. 626 c.c.).
Floozy clause e libertà personale: il contrasto con l’ordinamento
Va pertanto verificato se una previsione quale quella della floozy clause di Rebecca Minkoff possa ritenersi valida, considerato anche il disposto dell’art. 636 c.c., il quale riconosce espressamente l’illiceità della condizione che impedisca al beneficiario di sposarsi, sia in prime che in ulteriori nozze.
In passato la giurisprudenza era stata piuttosto liberale, ammettendo limitazioni che non escludessero totalmente la libertà dell’individuo (ad es., Cass. civ. n. 102/1986 ha reputato valida la condizione che subordinava l’attribuzione testamentaria al fatto che il beneficiario sposasse “una signorina appartenente alla loro classe sociale”, mentre Cass. civ. 3196/1993 s’è pronunciata a favore della possibilità di condizionare l’istituzione di erede al fatto che il chiamato conseguisse la laurea in medicina).
Più di recente si è invece ritenuto che, in generale, violino le norme imperative e l’ordine pubblico tutte le condizioni che limitano la libertà di autodeterminazione dell’individuo con riferimento a tutte le fondamentali scelte di vita in cui si esplica la sua personalità e i diritti fondamentali previsti dall’art. 2 Cost. (cfr. Cass. civ. n. 8941/2009). In base a quest’ultimo orientamento, i vincoli imposti da una floozy clause come quella di recente assurta agli onori della cronaca nel caso Rebecca Minkoff potrebbero non superare il vaglio di liceità.
Le difficoltà pratiche di applicare una “floozy clause”
In ogni caso, non può tacersi come l’accertamento di una simile condizione non sarebbe certamente semplice: quali caratteristiche dovrebbero in concreto ricorrere per rendere “non gradito” il nuovo partner?
Vi sarebbe inoltre la difficoltà data dall’agire per vedere dichiarato l’avveramento della condizione, azione che spetterebbe ai chiamati ulteriori cui l’eredità o il legato andrebbero devoluti per effetto del verificarsi della condizione stessa (nel caso della signora Rebecca Minkoff, i figli della coppia).
A tacer del fatto che l’erede o legatario potrebbe aver alienato o consumato i beni prima dell’avveramento della condizione risolutiva (così va infatti considerata, ai sensi dell’art. 638 c.c., la condizione che impone all’erede o al legatario di non fare qualcosa per un tempo indeterminato, salvo che risulti una contraria volontà del testatore) e potrebbe non risultare più solvibile per far fronte all’obbligo di restituzione.
Alcune soluzioni alternative alla “floozy clause”
Onere testamentario
A soluzioni non dissimili si addiverrebbe se, anziché una condizione, al beneficiario dell’attribuzione fosse imposto un onere (il quale non fa venir meno l’efficacia della disposizione di ultima volontà, ma impone a carico del soggetto un obbligo di dare, fare o non fare, di cui qualsiasi interessato può pretendere l’adempimento e per il quale l’Autorità giudiziaria può imporre una cauzione): l’art. 647, comma 3, c.c. detta infatti disposizioni esattamente speculari a quelle degli artt. 634 e 626 c.c. con riferimento alla condizione impossibile o illecita.
Trust: una soluzione alternativa più efficace
Una previsione simile alla “floozy clause” troverebbe, invece, certamente migliore collocazione all’interno di un atto istitutivo di trust: il trustee potrebbe infatti regolare distribuzioni di reddito e/o capitale in base alla ricorrenza di situazioni predeterminate (sino a giungere, se previsto dall’atto istitutivo, a dichiarare la decadenza definitiva dalla posizione beneficiaria), dando puntuale e immediata attuazione alle volontà del disponente senza necessità di alcun intervento giudiziale.