Secondo la cio della divisione wealth management di Morgan Stanley, Lisa Shalett, le condizioni favorevoli alla fenomenale crescita delle azioni negli ultimi anni potrebbero iniziare a venire meno proprio quest’anno
“Per esempio, una crescita economica migliore del previsto e un’inflazione persistente indurranno probabilmente la Federal Reserve ad aumentare il tasso dei fondi federali, il che potrebbe sbloccare i tassi reali dai minimi storici negativi e indurre la volatilità del mercato”, ha affermato la cio in un suo intervento
“Con l’inizio del nuovo anno, tuttavia, pensiamo che gli investitori passivi”, che si affidano a fondi che replicano l’andamento di determinati indici, “debbano affrontare una situazione più difficile”, ha affermato Shalett in un suo intervento pubblicato sul sito ufficiale di Morgan Stanley, “per esempio, una crescita economica migliore del previsto e un’inflazione persistente indurranno probabilmente la Federal Reserve ad aumentare il tasso dei fondi federali, il che potrebbe sbloccare i tassi reali dai minimi storici negativi e indurre la volatilità del mercato”.
L’aumento dei tassi da parte della Fed è considerato ormai una necessità urgente, alla luce dei robusti risultati occupazionali dell’economia americana e del tasso d’inflazione ben oltre gli obiettivi (a novembre l’indice dei prezzi al consumo ha toccato il 6,8% e ci si attende un ulteriore rialzo per il dato di dicembre). La banca d’affari Goldman Sachs ha recentemente aumentato a quattro i rialzi dei tassi previsti dalla Fed nel 2022, il primo dei quali dovrebbe arrivare a marzo in concomitanza con la fine del piano di acquisti di titoli.
Quelli citati finora, però, non sono gli unici elementi in grado di incidere sulla volatilità dei mercati. Shalett, ad esempio, cita il destino incerto del massiccio piano di spesa Build Back Better che non ha i numeri per passare al Senato, nella sua forma già approvata alla Camera. Un ridimensinamento della spesa pubblica nel 2022 potrebbe accrescere l’impatto economico del ritiro degli stimoli monetari, frenando la crescita economica americana – come avevamo raccontato in questo precedente articolo. Anche un indebolimento del dollaro relativo ad alcune principali altre valute sarebbe nel radar delle preoccupazioni di Morgan Stanley: è una circostanza che si verificherebbe qualora la ripresa in Europa, in Cina o in Giappone superasse le aspettative.
Infine, Shalett ha sottolineato i rischi derivanti dalla concentrazione delle mega-cap sulla volatilità: “l’S&P 500 è arrivato ad essere dominato da una manciata di titoli tecnologici a grossa capitalizzazione, con i sette attori più grandi che rappresentano quasi un terzo del capitale complessivo del mercato e che guidano i rendimenti a livello di indice”, ha scritto la cio di Morgan Stanley, “un fenomeno che crea un rischio di concentrazione estremo per gli investitori con un’esposizione significativa a tali indici passivi”. E’ qualcosa di cui preoccuparsi ora che “i responsabili delle politiche fiscali globali guardano con attenzione a queste aziende”, che sarebbero fra i maggiori bersagli della global minimum tax – la tassa minima sui profitti aziendali concordata in sede internazionale.
Alla luce di questi rischi “gli investitori dovrebbero considerare la possibilità di neutralizzare le posizioni estreme e concentrate, cercando al tempo stesso la diversificazione. Suggeriamo di bilanciare la generazione di reddito e l’apprezzamento dei prezzi, con un focus sulla qualità e sui titoli a dividendo”.