I sette milioni e mezzo di chilometri quadrati dell’Amazzonia rappresentano per il pianeta una delle maggiori riserve di biodiversità (il 30-50% della flora e fauna mondiali) e di acqua dolce (20% di quella non congelata). Si tratta di un vero e proprio bioma, ossia una regione caratterizzata da “forme dominanti di piante e clima, che interagiscono producendo una comunità biotica distinta e unica”
La deforestazione di quello che la cultura pop chiama “polmone verde” del mondo è ecologicamente devastante perché gli incendi provocano un aumento delle emissioni di CO2, responsabili del surriscaldamento climatico. Il quale è potente amplificatore del rischio economico-finanziario, politico e sociale
Occorrono investimenti in energia low-carbon, innovazione ed istruzione. Oltre che un’azione coordinata di lobbying: Papa Bergoglio si sta muovendo. E con lui la task force di Michael Bloomberg, pensata per fornire agli investitori informazioni sui rischi legati al clima
230 fra fondi e società di investimento (16,2 mila miliardi di dollari in aum) si sono impegnati ufficialmente
Un record spiacevole
Luglio 2019 è stato il mese più caldo della storia dell’umanità (dati Nasa così come diramati dal professor Massimo Tavoni del Politecnico di Milano durante la lectio magistralis “Economia e cambiamenti climatici: minaccia o sfida?” tenutasi presso il Mip il 25 settembre 2019 e organizzata dal Winner Institute). Le sue fiammate di calore però non sono state solo figurali. L’estate torrida appena conclusasi ha visto infatti l’Amazzonia bruciare come non si vedeva da anni (+82% di incendi rispetto al 2018), complice “l’indifferenza” del presidente di destra brasiliano Bolsonaro.
2019: l’anno speciale del Sinodo in Amazzonia
Il territorio possiede più di un terzo dei “boschi primari” del pianeta, ossia di quelle formazioni boschive la cui continuità e la cui copertura non sono mai state intaccate a memoria d’uomo. Il 2019 è però anche l’anno in cui proprio in Amazzonia si tiene (dal 6 al 27 ottobre) l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi “per riflettere sul tema” Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale. Dei 185 membri, 114 provengono dalla regione amazzonica. Una forzatura voluta da Papa Francesco per battere il tema caldo del momento? No. Il papa lo aveva già annunciato il 15 ottobre 2017. La coincidenza appare quindi fortuita.
L’Amazzonia e il “climate Var”
La deforestazione di quello che comunemente noto come “polmone verde” del mondo è ecologicamente devastante. Gli incendi infatti provocano un aumento delle emissioni di anidride carbonica (CO2), le responsabili del surriscaldamento globale. Quest’ultimo funge da potente amplificatore del rischio economico-finanziario, politico e sociale (il cosiddetto climate Var, value at risk). Un rischio nuovo, profondo, non ben capito. Le assicurazioni britanniche però già considerano i rischi climatici nelle loro polizze. Lloyd per esempio, richiede esplicitamente ai propri sottoscrittori di considerare il fattore “cambiamento climatico”.
Per l’Amazzonia serve tutto: dai carbon stress test al Sinodo
Ne aveva già parlato il governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney proponendo veri e propri carbon stress test in luogo dei classici stress test economici. “Il nostro compito è quello di lavorare in modo da mettere l’intero sistema finanziario nelle condizioni di potersi aggiustare in modo ordinato, efficace e fluido man mano che le politiche ambientali vengono implementate”. Era il 2018. L’evidenza empirica mostra storicamente una strettissima correlazione fra disuguaglianza e clima. Nonché fra geografia ed economia.
I paesi più caldi tendono infatti ad essere non solo più poveri rispetto a quelli più “freschi” ma anche ad avere al loro interno un maggiore tasso di diseguaglianza socioeconomica. Paradossalmente, saranno i paesi a più rapida crescita economica a soffrirne. Le proiezioni Nasa mostrano che ad essere penalizzati saranno soprattutto Africa, Brasile, Sudamerica. Ma anche India, Messico, Usa e Cina.
Il Sinodo speciale dei vescovi in Amazzonia
Il rischio sociale è un aspetto che richiama inevitabilmente l’azione politica di Santa Romana Chiesa e di Francesco in particolare. Come si legge nel (anche) documento preparatorio al Sinodo del 6-27 ottobre 2019, “Nella foresta amazzonica, di vitale importanza per il pianeta, si è scatenata una profonda crisi causata da una prolungata ingerenza umana, in cui predomina una cultura dello scarto e una mentalità estrattivista. L’Amazzonia è una regione con una ricca biodiversità. E’ multi-etnica, pluri-culturale e pluri-religiosa, uno specchio di tutta l’umanità che, a difesa della vita, esige cambiamenti strutturali e personali di tutti gli esseri umani”.
I paesi / territori che compongono la regione panamazzonica sono nove: Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname, Venezuela, Guyana Francese. Vi abitano circa tre milioni di indigeni, e sono rappresentati quasi 390 popoli e nazionalità differenti. Secondo il Consiglio Indigeno Missionario del Brasile, vivono in Amazzonia fra i 110 e i 130 “Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (PIAV)” o “popoli liberi”. I sette milioni e mezzo di chilometri quadrati del bacino amazzonico rappresentano per la Terra una delle maggiori riserve di biodiversità (il 30-50 % della flora e fauna mondiali) e di acqua dolce (20% di tutta quella non congelata). Si tratta di un vero e proprio bioma, vale a dire una regione caratterizzata da “forme dominanti di piante e clima, che interagiscono producendo una comunità biotica distinta e unica”.
Contro il “neoestrattivismo”
Con il suo Sinodo dalla forte valenza politica Papa Francesco vuole invitare a modificare “il paradigma storico in base al quale gli Stati considerano l’Amazzonia come un mero deposito di risorse naturali”. Condanna gli effetti nocivi del “neoestrattivismo”, della pressione dei grandi interessi economici che sfruttano solo le fonti fossili (petrolio, gas, carbone). Un’immensa ricchezza che paradossalmente deve restare sepolta, pena una povertà definitiva.
L’urgenza di agire e l’impegno degli asset manager
Secondo i ricercatori, l’Amazzonia produce da sé, tramite l’evaporazione dagli alberi, le nuvole e la pioggia di cui necessita. Se incendi e deforestazione arriveranno a colpire il 25%-40% dell’area (ad oggi si è sul 15%), l’ecosistema non sarà più in grado di autoregolarsi e potrebbe trasformarsi in una sorta savana.
L’urgenza di ridurre le emissioni di CO2 sta diventando sempre più pressante, e il luglio appena trascorso ha lanciato l’allarme. Occorrono investimenti in energia low-carbon, innovazione “verde” ed istruzione. Oltre che naturalmente un’azione coordinata di lobbying: Papa Bergoglio si sta muovendo. E con lui la task force di Michael Bloomberg, pensata per fornire informazioni sui rischi legati al clima ad investitori, assicuratori e tutti i soggetti interessati.
Scende in campo la finanza
Gli appelli per salvare la foresta dell’Amazzonia si sono del resto moltiplicati fra tutti gli stakeholder della vita civile, anche quelli della finanza globale. Così, in risposta agli incendi, 230 fra fondi e società di investimento (16,2 mila miliardi di aum in dollari) hanno firmato il 18/09/2019 una dichiarazione da condividersi con le società coinvolte nella produzione di soia e bestiame nei paesi interessati. Fra i firmatari figurano società come Hsbc Global Asset Management, Bnp Paribas Asset Management, Robeco, la norvegese Storebrand Asset Management, il fondo pensione californiano CalPERS. La teoria dei giochi cooperativi dice che più il contesto degli attori in gioco è frammentato, più il rischio di opportunismo sale. La spinta alla concentrazione economica è perciò potente. O forse, per una volta, bisognerebbe usare la parola collaborazione: del resto, nella radice greca di “sinodo” c’è la parola “insieme”.