Applicare la sostenibilità all’attività finanziaria in passato poteva sembrare un paradosso. Ma l’attenzione alle tematiche ESG negli ultimi anni ha assunto sempre più rilevanza anche grazie al crescente interesse dei decisori e del mondo istituzionale. “Nel mondo dei servizi finanziari, osserviamo un chiaro trend di crescente interesse su tutti gli operatori. Entro il 2030, infatti, prevediamo che circa il 95% degli AuM sarà investito su prodotti con componenti ESG. Diversi fondi di Private Equity, nel frattempo, stanno eseguono due diligence ESG-specific prima di qualsiasi decisione di investimento, definendo al tempo stesso dei piani di creazione del valore di tipo ESG per le società in portafoglio” spiega Marcello Pallotta, Partner Bain & Company.
Le agenzie di rating – un player centrale in questa partita – hanno sviluppato (e continuano ad evolvere) modelli di valutazione delle aziende legate al livello di compliance rispetto ai criteri di sostenibilità a tutto tondo. Un fattore importante questo, da considerare, quando si investe su una società specifica. “Dal nostro osservatorio, vediamo una profonda correlazione (oltre 70%) tra NPS (Net promoter score) del cliente e profilo ESG percepito. Inoltre, sempre dalle nostre ricerche, risulta che ad una solida e credibile ambizione ESG, è tipicamente collegata una maggiore soddisfazione dei propri dipendenti” spiega Bain.
È davvero Esg?
Definire il set di informazioni e regole che permettano di qualificare con chiarezza e trasparenza un investimento. ESG è uno degli snodi chiave protagonista dei prossimi anni. “A tal proposito, la Sustainable Finance Disclosure Regulation – che si applica principalmente a banche, assicuratori, gestori patrimoniali e imprese di investimento che operano all’interno dell’UE – fornisce i requisiti di informativa sui livelli organizzativi, di servizio e di prodotto (ad es. Fondi etichettati “light green” secondo l’articolo 8 e o “dark green” secondo l’articolo 9) per standardizzare le performance di sostenibilità, con l’obiettivo di prevenire casi di greenwashing; e consentire la comparabilità sulle decisioni di investimento sostenibili” aggiunge Bain.
Fondi light green e dark green
Il criterio utilizzato nella valutazione della sostenibilità dei fondi si basa su 3 pilastri: la società nel suo complesso e il portfolio management, la strategia green del fondo e le partecipazioni di portafoglio. A essere particolarmente deficitari in tema di sostenibilità figurano i fondi multi- asset, che tendono a essere poco integrati nei loro obiettivi d’investimento ESG. Hai investimenti di questo tipo? Ne conosci la strategia green? Nel dettaglio ci sono vari tipi di classificazioni: i dark green sono veicoli che fanno della sostenibilità un credo e che tengono ferma la convinzione che senza di essa non vi possa essere alcuna profittabilità negli investimenti. Hanno una marcata differenza nei confronti di altri 2 gruppi che sono classificati dall’SFDR. Uno è il light green, previsto dall’art.8, a cui fanno parte tutti quei fondi che promuovono obiettivi ESG e tengono in considerazione caratteristiche di sostenibilità, sebbene ciò non sia lo scopo principale dei fondi stessi. L’altro gruppo riguarda i fondi grey, enunciati dall’art.6, che sono i meno virtuosi dal punto di vista della sostenibilità, dal momento che possono tranquillamente includere nel paniere società che investono in settori controversi come armi, tabacco e combustibili fossili. Questi veicoli non sono ben visti dagli investitori che cercano qualcosa in più del rendimento, proprio sotto l’aspetto della sostenibilità.
Come investitore, sapevi che una recente ricerca da parte di MainStreet Partners, società londinese specializzata in ESG Advisory e Portfolio Analytics, ha analizzato lo stato dell’utilizzo di principi ESG da parte di 160 asset manager, che comprendono 4.200 fondi e ETF e 5,6 miliardi di euro di asset gestiti? Dallo studio è emerso che solo il 5% dei fondi può considerarsi dark green, mentre il 25% fa parte della categoria light e ben il 70% appartiene all’articolo 6.
Le prossime tappe verso la trasparenza
In questo quadro, come possiamo sapere se il nostro portafoglio è investito in fondi più o meno green? E che prospettive ha la trasparenza degli investimenti? Nuove mete sono vicine: a partire dal 1° gennaio 2023, entreranno in vigore gli standard tecnici di dettaglio (RTS) che hanno l’obiettivo di fornire agli investitori finali informazioni comparabili per effettuare scelte di investimento. “Gli input che arrivano dal Regolatore vanno chiaramente nella direzione richiesta da più parti – evitare fenomeni di greenwashing – e riteniamo che queste recenti evoluzioni, almeno nel breve termine, possano portare maggiore trasparenza nel mercato” spiega Bain & Company.
“Tuttavia, se si vuole incoraggiare la transizione – e la finanza può guidare in questo senso – rimane la necessità di indicazioni ancora più chiare e concrete sul merito di cosa sia “effettivamente” green, anche rendendo stabili nel tempo i criteri definiti (ad esempio “controllando” attentamente fenomeni di “cambio etichetta” dei fondi nel tempo). In tal senso, le prossime indicazioni da parte dei policyholders potrebbero dare un contributo concreto. Questo permetterebbe agli operatori – ancora prima di evolvere la propria gamma prodotti (e servizi) in ottica ESG – di lavorare in modo più strategico sul proprio approccio attraverso un piano di creazione del valore di lungo termine: definendo degli obiettivi di sostenibilità, ritarando il proprio risk framework, rivedendo il proprio modello operativo e di business”. Se siamo interessati a un portafoglio Esg l’analisi dei nostri investimenti deve essere costante e pretesa, come investitore, dal nostro consulente. Possiamo quindi capire il grado di sostenibilità del nostro portafoglio attuale, il rating etico delle aziende che lo compongono e, in vista del 2023, conoscere gli standard tecnici alla alla base dei futuri investimenti.
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