L’esenzione dall’imposta di
successione e donazione prevista dall’art. 3, comma 4-ter, d.lgs.
n. 346/1990, per agevolare il passaggio generazionale, non si applica
alle cosiddette società senza impresa, ossia alle società di
mero godimento, quali le immobiliari o le società che detengono un
portafoglio finanziario o singoli beni (ad esempio, immobili, valori
mobiliari, opere d’arte, ecc). Così si è pronunciata la Corte di
Cassazione nella recente ordinanza n. 6082 del 28 febbraio scorso.
La norma agevolativa
sull’esenzione dall’imposta di successione e donazione
L’art. 3, comma 4-ter, del d.lgs. n.
346/1990, prevede la non applicazione dell’imposta di successione e
donazione ai trasferimenti effettuati, anche tramite patti di
famiglia, a favore del coniuge e dei discendenti, oltre che di
aziende o rami di esse, anche di partecipazioni di cui, per effetto
del trasferimento, venga acquisito o integrato il cosiddetto
controllo di diritto, e ciò comunque a condizione che gli aventi
causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o
detengano il controllo per un periodo non inferiore a 5 anni dalla
data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla dichiarazione
di successione o al trasferimento, apposita dichiarazione di impegno
in tal senso.
La fattispecie oggetto di
giudizio
La fattispecie sottoposta al vaglio
della Cassazione ha ad oggetto il conferimento in una società
lussemburghese, da parte di due coniugi, della nuda proprietà di
immobili ubicati in Italia, seguita dalla donazione delle quote delle
società lussemburghese ai due figli, a cui veniva applicata
l’esenzione da imposta di donazione ai sensi dell’art. 3, comma
4-ter, del d.lgs. n. 346/1990. L’Agenzia delle entrate disconosceva
l’esenzione e recuperava l’imposta di donazione, sostenendo che
il riconoscimento dell’agevolazione in parola fosse circoscritta
alle ipotesi in cui la società esercitava un’attività d’impresa,
cosa che non si era verificata nel caso di specie, in quanto la
società lussemburghese risultava una società di mero godimento
immobiliare, economicamente non operativa e caratterizzata da una
gestione statica. I coniugi, quindi, presentavano ricorso, sostenendo
nel merito che, in base al tenore letterale della norma, in caso di
trasferimento di partecipazioni l’esenzione andasse accordata con
il semplice mantenimento del controllo per 5 anni, accompagnato da
specifica dichiarazione di impegno in tal senso, senza che fosse
necessaria anche la prosecuzione dell’attività d’impresa. Il
ricorso veniva respinto nei due gradi di merito e veniva da ultimo
sottoposto al vaglio di legittimità della Suprema Corte.
L’orientamento restrittivo
della Corte di Cassazione
La Cassazione rigetta il ricorso dei
contribuenti, avallando l’interpretazione restrittiva
dell’Agenzia delle entrate. In particolare, la Corte liquida come
una mera “improprietà lessicale” la lettera della norma –
in cui, come detto, è assente per il trasferimento di quote e
azioni, il requisito della continuità aziendale – e conclude che,
ai fini dell’esenzione, nel caso di trasferimento di partecipazioni,
siano necessari non solo l’acquisizione del controllo e la sua
detenzione per almeno un quinquennio, ma anche l’ulteriore requisito
dell’esercizio dell’impresa da parte della società trasferita,
poiché solo a questa condizione il trasferimento del controllo di
una società può ritenersi equivalente al trasferimento di
un’azienda. Ciò in quanto, secondo la Corte, la norma di esenzione
va interpretata tenendo conto della sua ratio ispiratrice di
origine comunitaria (raccomandazioni della Commissione Ue n.
94/1069/CE del 1994, e n. 98/C 93/02 del 1998), che è quella di
agevolare il passaggio generazionale dell’impresa allo scopo di
non pregiudicare la continuità di aziende che, donate o cadute
in successione, potrebbero altrimenti dover essere cedute, in tutto o
in parte, per consentire agli eredi o donatari di procurarsi la
provvista con cui assolvere gli obblighi tributari. Si tratterebbe
quindi di un’agevolazione disposta principalmente a favore
dell’impresa, più che dei familiari, diretta ad assicurare la
sopravvivenza della stessa e dunque la salvaguardia dei suoi livelli
occupazionali.
La posizione dell’Agenzia
delle Entrate
Tale importante arresto
giurisprudenziale si pone in continuità rispetto alla posizione
assunta dall’Agenzia delle entrate nella risposta n. 552 del 25
agosto 2021, dove, richiamando l’individuazione della medesima
ratio normativa da parte della Corte costituzionale nella
sentenza n. 120/2020, l’Agenzia ha negato l’applicazione
dell’esenzione, in quanto il trasferimento, pur avendo ad oggetto
l’intero capitale di una società holding, non trasferisce
l’effettivo controllo della società operativa di famiglia. In
particolare, l’Amministrazione valorizza la “necessaria ed
indispensabile presenza dell’oggetto principale della disposizione
agevolativa in esame, vale a dire la sussistenza di un’azienda di
famiglia, intesa quale realtà imprenditoriale produttiva meritevole
di essere tutelata anche nella fase del suo passaggio generazionale,
anche per evitare “una conseguente perdita dei posti di
lavoro e ulteriori ripercussioni sul tessuto economico”. Di
contro, ne deriva che in assenza di una “azienda”,
l’applicazione dell’agevolazione de qua violerebbe la ratio della
disposizione medesima.
Tale innovativa presa di posizione è
stata di recente confermata con la risposta n. 185/2023, nella quale
l’Agenzia ha precisato che “la ratio della norma richiede che
i donanti trasferiscano il controllo della società di famiglia,
intesa quale realtà imprenditoriale produttiva meritevole di essere
tutelata anche nella fase del suo passaggio generazionale, a favore
dei beneficiari”, aggiungendo che “l’effettivo esercizio
del controllo da parte dei donatari e la sussistenza di un’azienda
di famiglia costituiscono, unitamente agli altri requisiti
richiamati, le condizioni poste dalla legge la cui inosservanza
determina la mancata applicazione del beneficio”.
Si va quindi consolidandosi sempre più
l’orientamento restrittivo, che, superando il dato letterale, nega
l’applicazione dell’esenzione da imposta di successione e
donazione in tutte le ipotesi in cui oggetto del trasferimento sia
una società senza impresa.
(Articolo scritto in collaborazione
con Sabrina Tronci, Di Tanno Associati)
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