Amazon dice basta allo smart working: dal 2 gennaio tutti in ufficio
Contrordine! Basta con lo smart working, si torna tutti in ufficio per cinque giorni alla settimana. È questo, in sintesi, il contenuto del messaggio pubblicato pochi giorni fa sul blog di Amazon direttamente da Andy Jassy, ceo della società. La decisione, già nell’aria da qualche tempo, sarà in vigore dal 2 gennaio 2025, mettendo così fine all’esperienza ibrida attivata in virtù della pandemia.
“Continuiamo a credere che i vantaggi dello stare insieme in ufficio siano significativi. Abbiamo osservato che è più facile per i nostri colleghi imparare, modellare, mettere in pratica e rafforzare la nostra cultura – ha evidenziato Jassy – Senza dimenticare che è più facile anche collaborare, fare brainstorming, inventare, insegnare e imparare gli uni dagli altri”.
Il ritorno in ufficio: un trend globale
Il caso di Amazon – che ha fatto molto clamore mediatico – non è affatto isolato. Nell’ultimo anno molte grandi aziende hanno imposto il ritorno in ufficio. Lo smart working “è il contrario della produttività” aveva sentenziato il ceo di Jp Morgan Chase già agli inizi del 2023.
Elon Musk ha fatto sapere ai propri dipendenti che recarsi in ufficio “non è facoltativo”.
E poi Sam Altman, ceo e cofondatore di Open Ai, ha detto che pensare di poter lavorare da remoto per sempre è stato “uno dei peggiori errori commessi dall’industria da molto tempo”.
Anche Zoom, il cui business è decollato proprio con lo smart working durante la pandemia, ha chiesto di lavorare in presenza almeno due volte a settimana.
Smart working in Italia: nuove regole per il lavoro da remoto
In Italia, lavorare da casa non è più un diritto dallo scorso 1° aprile 2024. Per continuare lo smart working, o per concederlo a nuovi soggetti, è infatti necessario sottoscrivere un accordo individuale con l’azienda, dando comunque priorità alle richieste provenienti da mamme con figli fino a 12 anni e lavoratori fragili.
La fine di una rivoluzione lavorativa e sociale?
Sembrava l’inizio di una radicale (forse utopica) rivoluzione lavorativa e sociale, con benefici per tutti: niente più file all’ingresso in città, vagoni della metro affollati e tempi morti in spostamenti interminabili, a fronte di un insperato taglio ai costi di canoni di locazione, riscaldamento ed energia per le aziende.
Eppure, l’era dello smart working pare essere sempre più vicina alla sua estinzione.
Ma sarà così semplice questa radicale retromarcia? I dubbi sono molti.
Le conseguenze dello smart working per dipendenti e famiglie
Innanzitutto, lo smart working ha iniziato a essere percepito come un vero e proprio benefit aziendale che metteva d’accordo la work-life balance, da dividere equamente fra vita privata e lavoro.
Stando a una ricerca di Dell Technologies, il 63% degli under 26 considera il lavoro da remoto l’elemento condizionante nella scelta di un posto di lavoro. Inoltre, molti dipendenti hanno riorganizzato la loro quotidianità sull’assunto, ad esempio, di non dover più pagare affitti più ingenti per vivere in città come Londra, Parigi o Milano. E ancora, le famiglie hanno rivisto la gestione dei figli e delle incombenze sulla scorta di una certa disponibilità di tempi, guadagnati anche risparmiando il tragitto per andare a lavorare.
La sfida dell’immobiliare e degli spazi di lavoro: uffici e investimenti in difficoltà
Quali gli impatti sul mondo immobiliare? Una volta superato questo ostacolo culturale e sociale, vi è poi un vincolo non indifferente: la composizione e la struttura attutale degli uffici stessi. Ad andare in soffitta, infatti, non pare essere solo lo smart working, ma anche l’hot desking, ovvero il concetto della scrivania in condivisione e non più personale.
Sotto l’egida del nuovo modo di lavorare e dei sensibili tagli ai costi che ne derivavano, moltissime imprese, banche e assicurazioni hanno radicalmente rivisto i loro piani di locazione e occupazione di spazi, spesso drasticamente ridimensionati.
Il futuro degli spazi ufficio: nuove opportunità e sfide
Cosa succede quindi? Mancheranno gli uffici. Sicuramente mancheranno uffici tecnologicamente e qualitativamente di pregio, poiché gli investimenti in nuovi spazi a uso ufficio, viste le prospettive, avevano segnato un significativo rallentamento per lasciare spazio a riconversioni abitative o ricettive.
Ora, dicono gli studi recenti, i nuovi tenant cercano spazi più prestigiosi e di qualità, magari rinunciando a un po’ di metri quadrati. In questa asset class c’è un problema di offerta e dunque un aumento verosimile dei canoni.
Investire nel futuro degli uffici: una nuova fase di crescita?
Buone notizie in arrivo per l’intera filiera, sia per chi dovrà realizzare nuovi spazi di pregio, che per chi dovrà riqualificare gli edifici più vecchi, situati magari in zone meno prestigiose. Di certo occorrerà investire e molto, considerata la qualità media degli uffici in Italia. Avanti tutta dunque!