A fine agosto scorso il Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale nucleo di Bari hanno rinvenuto e sequestrato all’interno di una abitazione privata di Taranto nove reperti archeologici illecitamente detenuti (fonte The Journal of Cultural Heritage Crime). I beni databili dal V al III secolo a.C. sono risultati privi della documentazione attestante la lecita detenzione e non notificati alla soprintendenza.
Il mercato dei reperti archeologici
Nel solo anno 2023 sono stati sequestrati quasi 70 mila reperti archeologici dai Carabinieri del TPC. Nel 2022 il dato è stato di appena 17 mila. Il mercato presenta anche un fenomeno legato alle contraffazioni e dunque ai falsi. Sempre nel 2023 sono stati 535 i reperti archeologici come ceramiche, monete, affreschi, bronzetti non autentici sequestrati. L’aspetto più delicato però riguarda la provenienza dei beni che nella maggior parte dei casi è illecita in quanto provenienti da scavi non autorizzati o da impossessamento illegittimo.
La regolamentazione
I beni archeologici provenienti dal territorio italiano o ritrovati sui fondali marini dell’acque territoriali si presumono, salvo prova contraria, di appartenenza dello Stato a partire dal 1909 (art. 91 Codice dei beni culturali e L. 364/1909). Il possesso di reperti archeologici è ritenuto pertanto lecito solo in presenza di documenti o altri titoli che ne attestino il regolare acquisto o lascito ereditario con acquisto originario antecedente al 1909 o nel caso di rilascio dei reperti da parte dello Stato quale quota parte del premio di rinvenimento.
Quando i beni archeologici non sono accompagnati dalla documentazione sul titolo di provenienza originaria e dunque sul legittimo possesso allora l’erede o il possessore sono tenuti a fare la denuncia di possesso alla soprintendenza archeologia, belle arti, e paesaggio locale. In tali casi i reperti possono essere sequestrati in quanto ritenuti appunto beni di interesse culturale di proprietà dello Stato. I beni archeologici inoltre non sono suscettibili di usucapione e dunque non se ne può divenire proprietari anche in caso di possesso continuato per vent’anni.
Per i reperti archeologici non ritrovati sul territorio italiano, il privato che ne rivendichi il legittimo possesso è tenuto a fornire la prova del loro ritrovamento avvenuto all’estero.
Vi sono poi profili di responsabilità penale a vario titolo, tra i quali l’impossessamento di beni culturali appartenenti allo Stato che può essere punito con la reclusione fino a sei anni e con la multa fino a 1.500 euro (art. 518 bis c.p).
Il contrasto al mercato illegale
A livello investigativo per contrastare il fenomeno viene effettuato il monitoraggio dei lotti posti all’incanto nelle aste e sulle piattaforme digitali sia nazionali sia internazionali. Per gli oggetti rubati o trafugati di particolare rilevanza storica i Carabinieri si avvalgono anche di un sistema informatico che consente la raccolta automatica di dati e immagini provenienti dal web per il confronto con le foto dei beni da ricercare presenti nella loro banca dati, la più completa in uso alle forze dell’ordine anche a livello internazionale.
Le vendite online
Come, ad esempio, nel caso del sequestro del 6 dicembre 2023 effettuato presso un’asta online di una testa marmorea femminile risalente al IV secolo a.C. provento di furto presso Villa Adriana a Tivoli nel marzo 1984 e di una testa marmorea maschile risalente al II secolo a.C. trafugata a Roma presumibilmente nel 2008 presso una abitazione privata. Valore dei beni intorno ai 200 mila euro. Il proprietario dei reperti, che aveva consegnato i beni alla casa d’aste per la vendita, è stato deferito per ricettazione di beni culturali.